Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

mercoledì 26 dicembre 2012

LIBERALISMO E DEMOCRAZIA

I fermenti politici ed il dibattito, anche aspro,che stanno attraversando le società europee ed occidentali in generale,ma particolarmente  quella italiana, riconducono ad antichi interrogativi sul concetto di democrazia e sull'irrisolto suo rapporto con il pensiero liberale.

Specie nei momenti di crisi economica  e di derive liberiste, figlie della globalizzazione,il giudizio  pesa sulle risorse spendibili per il finanziamento delle spese sociali; quelle spese che sono proprie di una equilibrata convivenza civile all'interno di uno Stato.


L'interrogativo principale trova la sua ragione di esser posto, quantomeno da una certa corrente di pensiero, su quali siano state, siano e saranno le finalità ultime di uno Stato in democrazia.

Uno Stato che,  con le garanzie costituzionali, tende a favorire e tutelare le libertà individuali  e nei "gruppi"  e che è possibile definire come"libertà nello Stato" ma che con i meccanismi della democrazia rappresentativa riesce a tutelare anche le così dette " libertà dallo Stato".
E' proprio in quest'ultimo aspetto che si coglie il senso dell'ideologia liberale, che intende porre dei limiti ai poteri di quella Istituzione nei confronti delle libertà individuali tutelate all'interno di essa.
Sappiamo che il liberalismo è probabilmente la dottrina che ha più influenzato la concezione moderna della democrazia: si parla infatti di "liberaldemocrazia" in modo generico per indicare una moderna democrazia che non sia basata esclusivamente sulla volontà della maggioranza ma - anche e soprattutto - sul rispetto delle minoranze.

Una idea che pare l'unica sopravvissuta alle macerie  ideologiche del novecento e che si proietta con forza nel terzo millennio, ponendo le sue grandi questioni che riguardano i rapporti tra "libertà" e "responsabilità"; tra "diritto" e "dovere" ; tra scelte individuali e collettive ; tra "potere" e "legge".
 E' proprio il porre queste questioni che contiene in se  un interrogativo  sulla democrazia, sul come sarà e quale sarà il suo rapporto con il liberalismo nel prossimo futuro.

Illustri politologi hanno formulato le loro diagnosi  sulla base di un interrogativo  sul come considerare il liberalismo rispetto alla democrazia : un "prius" od un "posterius" ?
Prevarrà la concezione Lockiana  del liberalismo che, fuori dai suoi confini anglosassoni, ha prodotto la prima democrazia dell'era moderna , oppure  quella che fa riferimento al razionalismo democratico di Rousseau che ha influenzato, non poco,, le nascenti democrazie del continente europeo?


Quello che è generalmente riconosciuto è che, se per un verso  la Democrazia ha  bisogno del Liberalismo per individuare un confine che ne legittimi la sua teoria, per altro verso il Liberalismo ha bisogno della Democrazia per rendere più ampia la sfera dei diritti civili, politici e sociali.

 La necessità di ampliare la sfera dei diritti fondamentali  peccato che sia  reclamata da  un ideal-typ di liberalismo  costituito  nella sostanza da quella affermazione per la quale " la società, intesa come intero ordine sociale, con l'eccezione dello Stato, debba in generale guidarsi da se ": Le monde va  de lui-meme!
Una riedizione moderna di quel "laissez faire, laissez passer" di De Gournayana  memoria.

L'Italia,o meglio la sua politica che nei decorsi decenni  si è fortemente impegnata nella ricerca del consenso, assecondando  gli interessi anche bassi di determinate categorie  e le passioni anche torbide della massa, è protagonista (finalmente) di un dibattito acceso  su come e da quale "agenda" si possa e si debba essere pilotati verso un progressivo ma deciso cambio di rotta.Un cambiamento che ponga in sicurezza il Paese dal rischio  letale che il potere statuale venga utilizzato da chiunque ambisca alla sua conquista per sfruttarlo a suoi fini particolari.


Credo non sia tanto in discussione ciò che la teoria democratica contiene in se e cioè quella idea di eguaglianza che è alla base della nostra storia recente ed in generale di quella occidentale, quanto la sua elaborazione  interpretativa che ne determina due diversi orizzonti di senso; due paradigmi  contrapposti.
 Anche se il liberalismo ha contribuito a definire la concezione moderna di società, intesa come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane concernenti tanto l'ambito spirituale quanto la sfera materiale, rimane da rivisitarne  l'aspetto morale  ed il concetto stesso di eguaglianza.


Non è difficile da capire che laddove l'eguaglianza coinvolga l'aspetto morale, eredità che va dal cristianesimo all'illumnismo, nella pari dignità e  nella considerazione rispettosa di ogni singolarità,da essso non possa essere disgiunto l'aspetto sociale che ne è parte integrante.

L'idea liberale nella sua particolare visione di eguaglianza, per evitare il rischio di doversi confrontare con una diseguaglianza morale ed una effettiva cancellazione della dignità delle persone come singolarità e di intere classi, propugna una generica eguaglianza sociale essa stessa  generatrice di diseguaglianze sostanziali.

Quanto, in questo anno di governo dei tecnici è stato fatto,nella sua eccessiva sottolineatura liberale della libertà individuale ha completamente trascurato di considerare prioritario  il primato dell'eguaglianza morale delle persone ,sia come singoli che come gruppi sociali.

Non sarà facile governare  due aspetti caratterizzanti ; ciò che la teoria democratica reclama : l'eguaglianza  e ciò che invece reclama il liberalismo : la libertà.
Il relativo travaglio sta tutto nella loro armonizzazione, posto che ci sono "libertà che esorbitano dalla sensibilità della democrazia  così come ci sono eguaglianze che non sono apprezzate dal liberalismo" (Sartori)


Quel che appare evidente è che se , come afferma l'idea liberale, la democrazia moderna è portatrice e caratterizza un conformismo di massa con i suoi aspetti burocratici  e con una visione dello Stato come supremo elargitore,tendendo a non considerare prioritario  l'individualismo , essa sola è in grado di regolare una società civile economicamente e socialmente sempre più complessa, rispettosa dell'individuo nella sua libertà morale e intellettuale  ed a prevedere l'estensione dei diritti individuali  a tutti i membri della comunità; queste sono in definitiva le premesse ideali del liberalismo classico!

Questo Paese, al di la delle alchimie partitiche, "merita di avere la  libertà di  poter dare il meglio di se; di consentire a tutti di  godere il massimo della equità possibile;di beneficiare di pari opportunità per costruirsi una vita dignitosa; sentirsi parte attiva di una comunità ed una democrazia vitali ; protetti contro i rischi più gravi che l'esistenza può comportare;  godere correttemente dei beni sociali quali la sanità, l'istruzione,la giustizia e la sicurezza".

Nei prossimi mesi il Paese, i cittadini, decideranno , con il loro voto, quale sarà il loro destino e la Politica che vorrano.




Quì  il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato Democrazia.
Quì ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Quì ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Quì ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Quì ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti quì ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Quì ad Atene noi facciamo così.

Noi non consideriamo la discussione come ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma che la libertà sia solo il frutto del valore.
Quì ad Atene noi facciamo così.

Insomma , io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sè una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Quì ad Atene facciamo così.

 ( Pericle Discorso agli Ateniesi , 461 a.c. )

Ma questa è stata  definita la Democrazia degli antichi !





martedì 18 dicembre 2012

I GRANDI PROGETTI

Mi è capitato, ogni qualvolta se ne parla ed anche con enfasi, di chiedermi a cosa ci rimanda l'espressione "il sogno americano"oltre alla sua connotazione quale orizzonte  materiale e che, in definitiva, non ci appartiene essendo proprio di una realtà socio-politica differente e lontana dalla nostra.
Affascina  comunque questa espressione che sottintende aspetti da recepire anche nel significato  più alto.


L' indefinibile modello di una dimensione onirica ? Un mito, si potrebbe dire  ed un costante punto di riferimento presente nell'immaginario collettivo occidentale.
Generato da un idem sentire  in un rapporto duale tra individuo ed ambiente ricco di opportunità suì quali è stata costruita una grande democrazia ,sia pure con le sue grandi contraddizioni e le sue profonde diseguaglianze e con una vocazione imperiale,simboleggiata dalla  architettura tardo imperiale romana dei suoi palazzi istituzionali e dal suo rapportarsi e collocarsi in ambito internazionale.

Una democrazia però che appare sempre più disposta a considerare l'ineguaglianza come naturale conseguenza  delle capacità individuali  e come necessario ed unico motore della crescita economica ,
 anche se ciò significa  la produzione di sempre maggiori marginalità sociali  considerate come fisiologiche.


La nostra storia nazionale, con l'epopea risorgimentale ed unitaria, narra anch'essa di un sogno; di una opportunità ,tale per tanti che per tutto questo  hanno sacrificato le loro vite, donato il loro sangue quale concime di un seme; potenziale e formidabile collante di una complementarietà, ancorchè complessa , in un comune sentire di una nascente nazione.

Un parallelo certamente poco sostenibile per dimensioni ed individualità storica. La nostra italianità  con le radici millenarie della popolazione che la compone e che pare abbia percorso un cammino senza un sogno ed ancor oggi poco consapevole della propria identità.


Mi torna inevitabilmente alla mente la storica e controversa frase del Metternich : l'Italia è soltanto una espressione geografica. Che avesse ragione ?  Spero ardentemente di no!











sabato 15 dicembre 2012

LE NORME FONDAMENTALI

L'11dicembre 2011 postai una riflessione ; una indicazione coniugata al passato :Quel Patto Costituzionale come dire quelle tavole di valori e di princìpi ispiratori della costruzione di un sentire comune  e regolatori di un cammino di progresso civile e morale che la neonata Repubblica si accingeva a percorrere all'indomani di una tragedia le cui macerie avevano travolto l'intera struttura sociale in uno scontro fratricida.

Patto fondante per una nuova comunità nazionale sulla base di diritti inalienabili sanciti e tutelati come tali.
Diritti in un impianto di carattere sociale  costituito dal lavoro, l'istruzione, la salute, la proprietà privata, con un accento posto sulla sua funzione sociale, una paritaria opportunità di crescita individuale.


La Costituzione più bella del mondo, decantano artisti, pensatori, personaggi dotti  e quanti ne conoscono contenuto e spirito.

Spesso ,questo atto fondamentale e' stato celebrato e divulgato da artisti in supplenza a chi ne dovrebbe avere la sensibilità ed il dovere pedagogico.

Tentativi con carattere di necessità,data la rivisitazione in senso regressivo degli ultimi decenni,  per iscrivere nella memoria dei singoli e della collettività il senso vero di quei princìpi valoriali e diritti ,da considerare come"repertorio esistenziale "della vita collettiva, legge fondamentale e patrimonio condiviso.






mercoledì 12 dicembre 2012

IL SOLCO DELLA DISEGUAGLIANZA

L'Italia sta vivendo la sua crisi che oltre ad essere  economica , è anche culturale, politica  ed in ultima analisi  sociale.
 E',anzitutto, la medesima crisi economica che ha investito l'Europa e possiamo ben dire il sistema occidentale nel suo complesso.


Appare chiaro però che ciascuna di queste dimensioni ha affrontato o sta affrontando il problema, non da poco, con approcci diversi, in relazione anche al pensiero politico sistemico che ,forse soltanto in Italia,si manifesta con una vera e propria lottizzazione politica della società , in una sorta di "affresco feudale", del quale ho fatto cenno in altro post relativo ad alcuni  aspetti antropologici che ci riguardano come italiani.

In questa realtà la  politica si è dimostrata incapace di proporre una visione reale ed organica di quale futuro porre all'orizzonte del suo operare ,perchè ormai carente di un pensiero filosofico che ne illumini il percorso tra l'altro fortemente condizionato da una oscura deriva con grande capacità di catturare un immaginario collettivo ormai  impoverito di stimoli culturali ed etici fino ad arrivare ad una accettazione sociale della bugia, anche quella che si manifesta senza alcun rispetto della coerenza cui la classe politica dovrebbe essere tenuta.


Lo intravediamo, lo sperimentiamo sulla nostra pelle ed in tutti gli aspetti della vita quotidiana quale sia il modello di vita che l'attuale e pare unico pensiero  ci pone come nostro orizzonte.

Il modello di un certo tipo di sviluppo; quello del "produci, consuma e crepa"tanto caro al pensiero  neo liberista di cui è testimone autorevole l'ultima e morente  "governance" italiana  a guida di "decision maker", epigoni nella sostanza di chi li ha preceduti e che è, anchessa , giunta alla fine del percorso concesso  come  utile per poter in seguito  affermare di avere le mani "pulite" dei sacrifici" necessariamente"imposti ed il cuore vicino ai cittadini con i loro problemi esistenziali. Sfacciata ipocrisia!!


Quel pensiero che qualifica i cosiddetti "produttori di ricchezza"  come "marea che innalza tanto lo yacht del miliardario quanto la barchetta del pescatore";curiosa visione di crescita ed interesse collettivo.
Si nasconde  però che ,quella che viene spacciata  come  marea che "innalza",è anche qualcosa d'altro, cioè generatrice di  un solco che può diventare tanto più profondo quanto più grande è l'ingiusta distribuzione della ricchezza.
Va da se che  una società portatrice di tali disuguaglianze è una società destinata al declino ed alla disgregazione.Questo non sembra essere preoccupazione delle classi dirigenti del nostro paese o quanto meno di tanta parte di esse.

Le diseguaglianze e la crisi sociale, finalmente palesatisi in tutta la loro gravità, non sono serviti a molto  poichè, sull'onda del disagio sociale,si sono  riaccesi gli appetiti  di gruppi di interesse  particolari, fino ad oggi silenti  e pronti a riprendere  l'opera  rimasta in quescenza per via della crisi dell'Euro e della possibilità di lasciare ad altri la paternità di decisioni a loro gradite tanto quanto sgradite alla massa elettorale.

Personalmente mi ha sorpreso non poco leggere della sfida lanciata da Daniel Haltaman, economista di prestigio, con la sua proposta di tassare ,negli USA ,la ricchezza e non il reddito per contribuire alla riduzione delle diseguaglianze, posto che è sul fronte dell'accumulazione diseguale della ricchezza che si scava quel solco.

E' una idea condivisibile  anche se tassare determinati beni come espressione di ricchezza potrebbe essere ingiusto poichè la possibilità di acquistare un bene può anche essere frutto di rinunce verso altri tipi di consumi.
Una tassazione generale sulla ricchezza, realizzata tramite una modesta imposta proporzionale gravante su tutta la ricchezza personale, sarebbe molto più equa che una sequela di imposte su singoli beni.

In Italia,come in Europa,salvo l'eccezione francese, la sfida proposta va nella direzione opposta .  la soluzione dei gravi problemi da risolvere era stata riposta nelle mani di un teem di "competenti" che ,in definitiva si è articolata con attegiamenti poco negoziali e pragmatici, da "problem solving men"e che ha portato come frutto  la realizzazione di riforme che, purtroppo, sono andate  ed andranno sempre più ad incidere sugli orizzonti esistenziali delle persone comuni e ad un annichilimento del ruolo sociale della mano pubblica ma  esentando dal doveroso contributo al risanamento  coloro per i quali tale contributo non sarebbe sacrificio insopportabile.

L'errore fatale,se di errore si può parlare : Il risanamento per mezzo della fiscalità generale,della finanza  privata, considerata propedeutica ad una stabilità monetaria ad uso dei mercati speculativi e nessuna concreta azione e poco o nulla risorse a favore delle classi medie; della economia reale per evitarne la recessione.



Si è partiti con un attacco al sistema pensionistico che nella raltà dei fatti ha decretato per i giovani  un destino senza tempo in una  indefinita attesa  di una disponibilità di posti di lavoro che non si potrà realizzare nemmeno con il decesso dei padri trasformatisi via via in nonni, impedendo loro a considerare fattibile  una legittima  progettualità per la costruzione di un nucleo familiare in un orizzonte futuribile.

Questo per dire che nemmeno un eventuale patto generazionale  sarebbe ormai in grado di risolvere questo problema  che ha le sue origini nella variabilità dei fattori che muovono l'economia  in generale nelle sue fasi di crescita o di decrescita ; fattori che sono gli investimenti  in innovazione, la gestione del capitale umano con i suoi diritti irrinunciabili, quindi la combinazione  virtuosa e lungimirante di questi fattori, insieme ad altri da parte delle classi imprenditoriali e della classe politica.

La cronaca politica ci informa che il problema principale in Italia  oggi è costituito dalla impossibilità di gestire un responsabile traghettamento del paese tra i flutti di una crisi ancora non risolta.












giovedì 22 novembre 2012

IL DOGMA DELLA CRESCITA


Tutto parte dal significato vero  e quale sia il senso da attribuire all'essere soggetti della storia.
Padroni del principio di"Se", l'autoproduzione di se stessi , attraverso un lungo percorso che coinvolge  una umanità,affrancata dall'immaginario aristocratico e proiettata  in un nuovo immaginario : " l'homo faber", paradigma  fondante di una nuova umanità singolarizzata e proiettata verso uno sviluppo tecnologico e produttivo.


Un cammino forse illusorio posto che,nei fatti,quella "umanità" non si è realizzata  perchè  prodotto della stessa attività produttiva che, con la necessaria continuazione,insita in essa, gli si ritorce contro ancor prima della sua nascita.

Una singolarità sovrana e padrona del "Se" annullata, poi, nella organizzazione sistemica  della produzione e del consumo e ridotta a mera espressione di "bisogni di possesso" e motore di incrementi produttivi e mercato.
Una sovranità  risoltasi alla fine  in una frenesia  di produttività fine a se stessa e generatrice  di alienazione e dipendenza.

Occorrebbe forse abbandonare il dogma della crescita continua. Nella realtà in cui l'uomo è immerso  nulla cresce in maniera infinita.
Tutto ha un inizio ed una fine o una trasformazione.Quella della crescita  continua è la "perniciosa illusione generata dalla mente della altrettanto perniciosa nuova specie umana definita " l'homo economicus", parabola forse conclusiva dell'homo faber.
Per costoro ed i loro seguaci , il PIL è  il Totem, l'indiscutibile misuratore del benessere.


Quello che si sta vivendo è un momento decisivo di un cambiamento epocale ,alcuni lo definiscono la
"rivoluzione liberale" che, mandando in soffitta definitivamente  Keynes ed il Leviatano, ritiene di avere in mano  la terapia salvifica necessaria per sanare una crisi da essa stessa generata.

Un modello,quindi, e l'immaginario di un mondo che si contrappone ad un altro immaginario i cui paradigmi  sono il frutto di  fatica e lotte civili di intere generazioni e, fino ad oggi, un consolidato  dei rapporti sociali.

Un mondo,il primo, incentrato su un  blocco conservatore della finanza multinazionale,portatore di un modello economico basato sulla crecita ,sull'indebitamento ,sulla finanza creativa, sullo sfruttamento selvaggio delle risorse; l'altro, invece, portatore delle istanze di rinnovamento ,sia sociale che culturale, di una giusta attenzione alla sostenibilità, all'ecologia ed alle energie pulite; in definitiva un modello di de-crescita possibile.
Due scenari, due dinamiche, due prospettive tra loro inconciliabili.


Da una parte l’ostinata dittatura della civiltà della produzione finalizzata ai compulsivi  consumi di massa, del petrolio, della chimica , e della politica imposta dalla finanza e dai banchieri per il profitto fine a se stesso ; dall'altra le istanze per un modello di vita fatto di obiettivi dentro un immaginario che guardi non solo al presente ma anche e maggiormente al futuro delle persone e del pianeta.








lunedì 5 novembre 2012

DUE LEADERSHIP - DUE VISIONI



Quella a cui assistiamo è la narrazione di una crisi economica e sociale e la necessità, indotta dalla competizione elettorale, di accendere i riflettori sulle sue cause vere e profonde.
Si assiste ad una narrazione ma anche ad una altra narrazione che tenta di nascondere la verità sulle scelte precedenti l'attuale governance ed il legame di quelle scelte con le disastrose conseguenze che hanno interessato la "finanza", "l'economia reale" ed alla fine il "tessuto sociale".


Chi ne ha pagato e ne paga le conseguenze è proprio quest'ultimo, nella parte rappresentata da quella che viene definita la "classe media" americana che ha visto, specialmente nell'ultimo decennio ,calare in maniera impressionante il suo livello di benessere e sprofondare nella soglia di una nuova povertà.
Nella restante parte della composizione sociale coloro che erano i poveri sono diventati ancora più poveri ed i cosiddetti ricchi sempre più ricchi.


Queste sono state le conseguenze di una deriva oligarchica che ha dato origine alle politiche neoliberiste da Reagan  ai Bush con il "laissez fair" in un mercato senza regole e la pretesa di correggere il peso del debito pubblico americano con meno tasse ai ricchi e pesanti tagli al Welfare State.Quella, a ben vedere, fu una pretesa ipocrita!

L’America è certamente il prodotto di due società, quella dei ricchi e quella dei poveri, ma le proporzioni non sono quelle attese. Oggi l’America sembra più un’isola solitaria di ricchezza materiale in un oceano di povertà. L’1% della popolazione accumula il 20% (era l’8% al tempo di Kennedy) del reddito prodotto annualmente. Gli altri dati sono noti: disoccupazione al 10%, poche probabilità di trovare un impiego allo stesso stipendio di quello perso; cinquantenni in esilio permanente dal mondo del lavoro, ventenni con poche alternative.

  La rivoluzione reaganiana, il neoconservatorismo, le forze del mercato, le liberalizzazioni, l’attacco al ruolo del governo federale, sono stati alcuni degli eventi che hanno mosso il paese nella direzione di una crescente disuguaglianza economica. Una combinazione di fattori esogeni (in primis la globalizzazione e l’innovazione tecnologica) ed endogeni (la politica) ha contribuito a creare una situazione che la recessione ha reso intollerabile. L’individualismo e il darwinismo sociale hanno sostituito la solidarietà come principi regolativi della distribuzione della ricchezza.





Oggi il discorso non è più sulla distribuzione degli "onori" ma degli "oneri". Le rendite di posizione di chi
si trincera dietro ai benefici di cui ha goduto nell’ultimo mezzo secolo sono inevitabilmente diventate il bersaglio della critica di ampi strati dell’opinione pubblica americana. Ma rimane inalterata e altrettanto decisiva una questione: la fonte della disuguaglianza sta nelle istituzioni, nel contratto sociale, e quindi in ultima analisi nella politica? Oppure nella fabbrica sociale del paese, nella sua cultura, nei suoi valori? La presente situazione pone una  domanda : com’è possibile che in America il costo e il disagio siano misurabili soltanto in termine di ricchezza o povertà materiale? È possibile che in America si sviluppi un’idea della ricchezza, grazie alla quale i disagi della crisi non siano valutati soltanto in termini di flussi economici a favore di una classe sociale o l’altra, ma piuttosto di partecipazione solidale e condivisa dei costi della crisi da parte dell’intera comunità?



Non appare chiaro se  e come il Paese potrà arrivare ad una equa ripartizione degli oneri ma sicuramente chiaro che tutto ciò dipenderà dal tipo di rappresentanza politica rispetto ai disagiati  o a una nuova prospettiva etica. Così come non è ancora chiaro se si potrà arrivare ad una revisione del contratto sociale nel modo in cui si è andato articolando nello scorso mezzo secolo, oppure della cultura che si è contestualmente sviluppata. Sembrano domande teoriche, ma evidentemente non lo sono. Rimane da capire  se prevarrà la proposta di  un’estensione dell’individualismo egoista oppure quella del ritorno al solidarismo sociale.



Solo una diversa visione ha tentato di porvi  rimedio  e le scelte della attuale politica presidenziale  con delle leggi di indirizzo economico sono andate in una direzione che in pratica ha avuto dei risultati positivi ,se si pensa al salvataggio della industria automobilistica americana e delle centinaia di migliaia di posti di lavoro ad essa legati . Non è  poco!!

Qualcuno forse dimentica che le elezioni  "mid term" hanno consegnato la maggioranza alla Camera proprio ai Repubblicani rendendo facili le loro azioni ostruzionistiche, ad esempio verso" l'American Job Act" che, con i miliardi di dollari da destinare ad investimenti ed a sgravi fiscali, avrebbe consentito una maggiore ripresa della economia americana.


Il"New deal"  Obamiano  ha avuto  una direttrice chiara nel Recovery Act del 2009 ma è stato impantanato.


sabato 3 novembre 2012

IL SOGNO AMERICANO E LE LEADERSHIP



Per noi cittadini di un continente dalla storia plurisecolare credo non sia semplice dare una precisa connotazione a questa espressione, sia essa riferita all'aspetto valoriale, perchè di valori certamente si tratta, quanto all'aspetto materiale delle condizioni sociali.


Eppure è proprio dal nostro continente che migrò il seme dal quale sarebbe nata poi la pianta dai molteplici rami : la speranza, la determinazione, la libertà individuale,l'intrapendenza operosa e nel contempo il sacrificio e  solidarietà .
Germoglio e frutto maturato di una democrazia.

La lunga narrazione di quel sogno parla di un idem sentire che teorizza ed aspira al  raggiungimento  del benessere, della felicità; quella che viene enfatizzata come diritto e garanzia costituzionale.


 


Non si può però, non vedere in tutto questo una grande contraddizione ; quella che proclama questo diritto garantito ma che non tiene  in nessuna considerazione la natura degli uomini che,come individui facenti parte di un qualsivoglia gruppo sociale, non nascono tutti eguali per potenziali capacità.Non tutti, quindi, malgrado le aspirazioni,la operosità e la libertà individuale , riescono a coniugare ad esse quel tipo di determinazione necessaria al superamento degli  ostacoli che si possono frapporre, nessuno escluso, pur di giungere alla affermazione di se ed al successo.


Da questo discende una composizione stratificata della società  nella quale parte di essa, quella che per vari motivi non riesce ad andare oltre i propri limiti, diventa oggetto di una connotazione,quasi parassitaria, nei confronti di quella parte che, avendone le doti e grazie al contesto, è riuscita a realizzare le proprie aspirazioni ed anche oltre e che considera la solidarietà un freno dannoso alla crescita economica.


Mi piace riportare una considerazione che rispecchia il pensiero intimo che caratterizza una parte della società americana, e non solo. Lo riporto come  un epitaffio :
Attenti agli uomini comuni, alle donne comuni, attenti al loro amore, il loro è un amore comune, che mira alla mediocrità. ( Bukowski )

E' anche vero che il sogno americano rivela alla sua base una ideologia, quella capitalista che assegna alla responsabilità di ciascun individuo l'onere del raggiungimento del suo benessere economico e dunque del suo successo sociale o del suo fallimento,da esibire  o subire ,ma in solitudine kopperiana.

E' questo il dogma della predestinazione  insito nella tradizione calvinista e protestante in genere che attribuisce all'individuo , attraverso il suo operare in assoluta liberta' nell'agire, il dovere di raggiungere il suo benessere  materiale  e conseguentemente il benessere della nazione in senso capitalistico.
Non più l'operosità ed il profitto quali mezzi per il benessere  ma quale fine quasi in senso religioso per la accumulazione capitalistica. Non più un valore ma una ideologia.

Una ideologia che supporta un sogno al di la della pretesa di un diritto alla felicità di cui tuti sono destinatari  e che si deve realizzare attraverso il libero mercato e dove il merito dell'intrapresa  non può essere frenato da pesi sociali che ostacolano la dinamica di uno sviluppo economico  sempre crescente.
Da quì la necessità di polarizzare la distribuzione del reddito tra capaci ed incapaci, tra i creatori di riccheza  e coloro che tali non sono.
La più grande democrazia occidentale con le più grandi diseguaglianze!




Come superare questa contraddizione  ?

Il sei di novembre gli elettori americani, o quanti,specie giovani, riusciranno a superare le mille diffcoltà che vengono artificiosamente e pretestuosamente frapposte alla possibilità di registrarsi e quindi esprimere il proprio consenso, saranno chiamati a  scegliere se continuare il percorso che l'attuale leadership sta faticosamente pilotando malgrado  gli ostruzionismi ed i veti  di un congresso ostile, dominato  dagli avversari,  che sono poi gli artefici della crisi gravissima che ha scosso l'economia americana e non solo.


I cittadini americani danno l'impressione di non avere una memoria ferrea e lucida se non riescono a mantenere vivo il ricordo dell'avventurismo guerriero in nome di una democrazia da esportare ed avente come ispiratrici le lobbies degli armamenti e petrolifere. Molti piangono i loro morti sull'altare del profitto dei pochi che pretendono di riprendere a guidare una grande nazione asservita ai loro interessi.















lunedì 29 ottobre 2012

QUALE EUROPA


L'attualità politica ci fa percepire quanto sia difficile e complesso il cammino verso la concreta realizzazione del progetto "Europa" intesa  in senso compiuto e quanto quel progetto, avviato e pilotato dall'alto,possa essere ostacolato  e direi vanificato dagli egoismi nazionali , specie da parte di quegli stati che, storicamente, sono stati i protagonisti di maggior peso e che hanno condizionato, nel bene e nel male,gli equilibri del continente ed i suoi destini.


Quella visione non è da attribuire esclusivamente ai suoi moderni padri ispiratori, ma ancor prima all'idea di un "nuovo ordine" per il mantenimento della pace che fu di Talleyrand o anche al teorizzato asse "franco-tedesco" su cui fondare un nuovo assetto politico europeo ( e lo stato attuale del progetto sembra realizzarlo) del pacifista tedesco Kallergi
Ma la storia è andata avanti e quell'assetto non può più essere conciliabile con una realtà statuale plurima ma allo stesso tempo autorevole in senso politico ed economico.

Occorre anzitutto che vengano tenute nella debita considerazione le nuove difficoltà, che sono presenti,ed acquisire consapevolezza di quale modello geopolitico l'europa necessita  sulla base dei suoi non uniformi ordinamenti sociali  e  in particolar modo politici.

Sono proprio quelle differenziazioni che hanno dato origine agli stati nazione  e la loro democratizzazione, oltre al peso del fattore geografico, dello sviluppo politico e sociale,con gli annessi fenomeni, specie nell'aspetto topologico e cioè in relazione ai territori.

Il riferimento è all'attuale discrimine,più o meno latente,all'interno di alcune entità statuali con quelle forme di opposizione o addirittura disconoscimento così come, storicamente,è avvenuto nello sviluppo del continente.
Tale problematica se viene affrontata ,ed occorrerebbe che lo fosse , con un approccio analitico rischia di non far emergere ciò che invece un approccio olistico consentirebbe.



Ho fatto delle ricerche  comparate sui processi di formazione dei vari stati nazionali per approfondimenti sui vari percorsi politici concernenti il "timing" del processo di "state building", le sue modalità ed i suoi protagonisti .
Mi viene di affermare che coloro che proposero una visione unitaria europea non si posero alcun altro interrogativo se non quello di creare  un embrione politico atto ad evitare future guerre tra gli stati europei.

Mi riferisco al "timing"  di "state building" che caratterizza alcuni stati europei ( Francia, Inghilterra,Spagna e paesi nordici) da una parte e dall'altra (Italia, Germania e stati dell'est post imperiale) per preconizzare la possibilità di una Europa bicefala.

Esemplificativo ,per andare nello specifico,il ritardo con cui lo stato nazionale si è affermato in Italia a causa del persistere fino al 1861 dei domìni su realtà etno-linguistiche con culture e tradizioni proprie che ancora ai giorni nostri appare come frutto non maturo di un progetto unitario.

Mentre le realtà territoriali tedesche, sotto l'influenza dal pensiero filosofico Herderiano riuscirono a stabilire un legame indissolubile tra lingua e individualità nazionale, realizzando una "comunione di destino tra tutti i membri di un popolo (Wolk)"basata su un rapporto forte tra comunità politica e territorio di stanzialità.
Ciò servì ad evitare la nascita di tesi nazionalistiche con aspirazioni di autonomia statale.


Credo che queste differenze , storicamente consolidate,costituiranno un problema di non facile soluzione e che potranno rendere ardua  una effettiva armonizzazione.
 Sono esse, nella loro peculiarità, che caratterizzano le varie realtà sociali e che , oggettivamente, si manifestatno nel loro modo di concepire e  di percepire la loro realtà individuale e collettiva, con le sue regole ed i suoi valori etici e morali ( Etica Protestante ) e per i quali l' Essere" ed il "Dovere"sono connotativi .

Di conseguenza appare difficile,se non impossibile, pensare ad una integrazione europea come una pura assimilazione del paradigma nordico,etico, tecnico, finanziario, cancellando l'inevitabile dualità  tra la civiltà mediterranea, cattolica e ortodossa, e la civiltà nordica, protestante e calvinista.

Per finire è pure di tutta evidenza che la distanza tra le comunità politiche dei singoli terrritori ed il "Centro" sovranazionale costituiscono un problema forse insuperabile e di difficile governabilità anche in un contesto federativo.



 









venerdì 26 ottobre 2012

L'EQUITA'



Dal WEB :
"La scelta della data del 13 aprile, per il voto in alternativa a quella del 6 aprile può apparire casuale ma non lo è affatto:
votando il 6 aprile, infatti, i parlamentari, alla prima legislatura non rieletti non avrebbero maturato la pensione. Votando invece come stabilito dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile, ovvero una settimana dopo, acquisiranno la pensione. " E poi si parla di voler fare l'election day per ridurre i costi della politica!"
MORALE DELLA FAVOLA 300.000.000 DI EURO PER QUESTA GENTE CHE DOPO POCHI MESI " DI DURO LAVORO INTELLETUALE" HA DIRITTO A PENSIONI DI PLATINO.I telegiornali e i giornali non ne parlano. solo internet permette di conoscere questa XXXX....date voi un nome."





Come commentare questo XXXX ? Non si trovano parole ! e dire che il consiglio dei ministri è lo stesso che ha
deciso in materia pensionistica "per riportare in equilibrio i conti della Previdenza Sociale:
Ma si sa che i beneficiari di tale sotterfugio  sono un numero non grande e quindi....si può fare !
Si sa anche che i possessori di grandi patrimoni ; i titolari di emolumenti stratosferici privati e pubblici  o di pensioni d'oro sono anch'essi parte di una porzione ridotta della popolazione e non sottoporla a sacrifici o a decurtazione di privilegi non incide sui correttivi  salva Italia e quindi.... si può fare !

giovedì 25 ottobre 2012

L'ETICA PUBBLICA E LE SUE REGOLE

 Gli antichi Greci parlavano di èthos (latino èthica) per indicare quella che oggi viene considerata la parte della filosofia che studia i problemi e i valori connessi all'agire umano, distinguendo tra il bene ed il male e, quindi, tra i comportamenti ritenuti moralmente corretti e quelli considerati invece sbagliati.

E' un concetto basilare riferito ad un tema così antico in quanto strettamente legato ai comportamenti dell'uomo. Ma se ci si dovesse imbarcare sull'astronave che porta sul pianeta della filosofia, si rischierebbe di entrare in un mondo di teorie particolarmente complesse, di dover percorrere un lungo e difficile cammino, fino ai Dialoghi di Platone e, tramite questi, al pensiero di Socrate, considerato il padre fondatore dell'etica.

Parlare di "maieutica socratica", o delle riflessioni di Platone (per fare il bene è necessario conoscerlo ricorrendo al dialogos, indispensabile per avere chiara l'idea suprema di Bene), o anche dell'Etica Nicomachea di Aristotele (che distingueva le virtù intellettuali, proprie dei filosofi, da quelle morali, dei cittadini), renderebbe l'analisi ardua e non facilmente comprensibile.

Lasciando il pianeta della filosofia ed impegnando il pensiero su una valutazione degli accadimenti attuali
la prima domanda che si è costretti a porsi è la seguente : Quale ruolo  giocano i valori sul piano istituzionale e normativo e quanto è presente nelle istituzioni quel particolare valore che si chiama Etica; nel caso specifico l'Etica Pubblica.
La risposta è, a dir poco, deludente!

Non è questione di morale personale quella di provare una forte indignazione di fronte al desolante panorama nazionale cui assiste in maniera sempre meno tollerante l'opinione pubblica.
La cesura causata da " Mani Pulite" quando la Magistratura fu costretta ad un ruolo di supplenza tutoria per riportare la vita pubblica entro dei binari più consoni al ruolo, aveva fatto ritenere che il punto più basso  in cui essa era precipitata fosse stato arginato e si fosse ripristinato un percorso diverso, coinvolgente tutti gli ambiti pubblici assieme al contesto generale.


Si era ritenuto anche  conseguenzialmente possibile  un ripristino dell'esercizio delle responsabilità che recuperasse le finalità ad esse connesse.  Tra queste la garanzia del bene supremo, quale maggiore  inquilino nella casa della "politica",in quanto legislatrice, con il  suo profilo direttivo ed architettonico al livello più alto, cui sono subordinate le regole, l'economia. ;  in definitiva posta al governo del fare ciò che è giusto fare e non fare ciò che giusto non è. Tutto questo per il benessere dell'individuo sia come singolarità che come popolo ed ancor più come nazione(riprendendo il concetto Aristotelico  di politica).

Così non è stato.

...E la legge morale dentro di me. Queste le due cose che, secondo il filosofo tedesco Emmanuel Kant, erano veramente degne di ammirazione. Un tema alquanto complesso, quello dell'etica, che nemmeno il pensatore di Königsberg, con il suo imperativo categorico - "Agisci in modo che la massima della tua azione possa valere come legge universale" - è riuscito a sviscerare fino in fondo.


Ci sono situazioni che coinvolgono l'etica pubblica che possono essere "alte" e complesse  ma che fatalmente nascono dall'interiorità dell'uomo e pertanto influenzate o determinate dallo spessore di quella interiorità che
è capace di dettare le sue regole che giustifichino il nuovo "giusto" ed i comportamenti conseguenziali.

Ciò che si manifesta ormai da lungo tempo nella vita pubblica e privata  deve essere attribuito all'antropologia di un intero paese ?
Occorreva il governo dei "tecnici" ed il lavoro della Magistratura per prendere coscienza di quanto avveniva in maniera così eclatante e diffusa?

La reprimenda della Ministra Severino riferita al " lucrare sul denaro pubblico, mentre ai cittadini vengono chiesti sacrifici di una gravità inaudita" mette in evidenza, se ce ne fosse bisogno, la necessità di un cambiamento radicale in coloro che scelgono di fare politica e ritornare a considerare che quella è una scelta di servizio e non una scelta di potere e di arricchimento personale.
Non passa giorno che i media informino di un nuovo caso riguardante il cattivo uso di posizioni di responsabilità pubblica , di appropriazioni indebite , di concussioni e quant'altro.
Perchè da decenni non è possibile uscire dalle emergenze che coinvolgono la morale e l'etica pubblica ?


I partiti ,convitati di pietra ,sono scandalizzati  e gridano al tradimento ! ma come possono chiamarsi fuori quando i "reprobi" ne sono parte integrante e sono supportati da regole che facilitano i loro comportamenti.
In vista delle elezioni  sono impegnati nel solito teatrino propagandistico delle buone intenzioni ed attenzione verso i nodi da sciogliere e fino ad oggi mai risolti.
Rifiutano di convenire che il nuovo non è tale se nasce dalla rielaborazione manipolata del vecchio e che non è più accettabile.









sabato 20 ottobre 2012

QUALE DEMOCRAZIA TRA CAPITALISMO E SOCIALISMO


Mesi di silenzio,senza scrivere alcunchè,spettatore insignificante ed ininfluente di importanti trasformazioni e
provvedimenti che hanno dato corpo ai dubbi circa il rischio che l'azione di governo dei "tecnici di necessità" avrebbe agito anche sul piano dei valori ; infatti  essa si è rivelata, nei fatti, orfana di quel valore fondamentale in democrazia che si chiama "Equità".
Era facile prevedere o temere l'apertura di spazi normativi dentro i quali i valori preminenti sarebbero stati quelli coerenti con la visione ispiratrice di comportamenti economici  e dei  provvedimenti posti in essere.


L'analisi di Schumpeter pose l'accento sullo stretto legame e le interazioni tra Politica ed Economia per volgere lo sguardo sul versante del sistema sociale che ne è influenzato.
Quello fu un passo in avanti sul come si può concepire la "Democrazia" rivista nel suo aspetto competitivo e come essa sia analoga al mercato economico.

Non è mia intenzione portare il discorso sull'analogia tra mercato economico ed arena politica democratica i cui meccanismi di "offerta" e di "risposta" intesi come indirizzo di scelte in un campo di alternative possano portare ad una alternativa vincente,ma sugli effetti che da queste alternative vincenti  possono ricadere sul tessuto sociale e sulla essenza stessa di democrazia, posto che le scelte dovrebbero anzitutto corrispondere alle aspettative di un massimo possibile in beni collettivi gestiti dalla mano pubblica.


Questo "corrispettivo" però deve tener in conto che pur essendo la mano pubblica  elemento indispensabile di ogni struttura sociale e per questo essere finanziata, si deve anche porre delle domande cui devono seguire delle risposte su :
- la quantità di finanza;
- la quantità di spesa pubblica;
- la quantità di imposizione fiscale;
- la tipologia delle imposte;
- verso quali strati sociali essere più incisiva.

E' questo il dilemma del nostro tempo! tempo nel quale e prevedibilmente il ruolo delle ideologie potrà prendere vigore e riporre l'accento su alcuni aspetti  che riguardano la Democrazia.
Questo è il grande rischio.
Perchè ? Perchè questo è un tempo nel quale si assiste ad una fase del "liberalismo" ormai degenerato in un "neo liberismo" prettamente capitalista, artefice della finanza creativa, generatrice della più grande crisi del
dopo-guerra,  esaltante un "mercato" nel quale prevale il più forte e senza alcuno scrupolo e che considera l'uomo nella sua individualità e dignità elemento secondario e di disturbo.
L'uomo che, proprio nell'ideale "liberale",era destinato all'autorealizzazione (essa stessa connessa alla economia di mercato) attraverso l'affermarsi della meritocrazia.


Lo stesso Croce dibattè sul rispetto delle libertà economiche differenziate però dalle libertà civili cui attribuì rango nettamente superiore e nel rispetto delle altrui libertà che non devono essere sopraffatte in nome del mercato.

Questo significa, in definitva :
- Come realizzare una riduzione delle diseguaglianze economiche e senza contraccolpi  in chiave di libertà      economiche;
- con quali mezzi raggiungere questo obiettivo verificando la compatibilità con la libertà economica e politica;
- come gestire i problemi, inevitabili, in materia di investimenti, occupazione e quindi di crescita economica.

Dilemmi, questi, che attraversano in maniera ormai lacerante il tessuto sociale e sono il tema delle contrapposizioni tra chi governa, le opposizioni e le piazze nelle democrazie occidentali.

La visione Socialdemocratica contro la visione Neoliberista.

I pro ed i contro una visione europeista ed una cessione di porzioni di  sovranità nazionale da sacrificare ad un progetto gestito non più dalla politica  ma dalla finanza e totalmente condizionato dai mercati  quindi palesemente svuotato di quei valori ideali che avevano costituito le sue fondamenta.

sabato 17 marzo 2012

LE CRISI DELLA MODERNITA'

E' proprio così! Ci ritroviamo a vivere in una realtà che pare abbia perduto le sue abituali coordinate; quelle che hanno accompagnato l'ultimo secolo del secondo millennio, carico di energie e di slanci in avanti e nel quale i sistemi politici, riuscendo a infiltrare le coscienze ed a conquistare la capacità di credere di tante moltitudini,hanno progettato e realizzato mutamenti radicali anche negli stili di vita.


Tutti gli ambiti del pensiero politico moderno pare abbiano esaurito quelle fasi di risveglio e di ricerca di orientamento con un coinvolgimento di singoli e di comunità in una nuova interpretazione di idee, valori, comportamenti di culture diverse anche per collocazione geografica.

A ben vedere ci lasciamo alle spalle un lungo periodo di crescita sostenuta e di profonde trasformazioni che hannno avuto come pendant una forte instabilità economica ed un vero e proprio scontro di sistemi.
In definitiva una ciclicità di fluttuazioni nella produzione e nella occupazione in un susseguirsi di crisi reali e finanziarie che appare evidente siano connaturate al modo di operare delle economie moderne.
In esse lo Stato deve essere sempre meno presente in quelli che,in passato,sono stati gli aspetti legittimanti del suo ruolo sul piano economico e della sua azione sociale: la piena occupazione, la concorrenza tra imprese,l'equilibrio della bilancia dei pagamenti e quant'altro, rivolti alla crescita, al contrasto delle posizioni dominanti ed infine alla efficienza; una sconfitta del liberismo in economia...trasformatasi, nel tempo,in una sua definitiva vittoria.


Questo sistema ha visto sua alleata la crescita della finanza internazionale assieme allo spessore ed alla integrazione del mercato mondiale dei capitali quali riflesso di una espansione delle attività bancarie e dei mercati mobiliari all'interno stesso delle maggiori economie.
L'effetto delle tendenze alla globalizzazione e finanziarizzazione lo si potrebbe misurare dal raffronto tra il valore dei vari cespiti monetari( banconote, titoli e crediti) ed il valore del capitale fisico (impianti, infrastrutture etc.).


Un sistema che vince una battaglia epocale ma che pur offrendo grandi opportunità alla intraprendenza degli individui ed erodendo (in teoria) le barriere alla mobilità sociale, non è capace di ridurre le disegualianze ed anzi le concentra in un problema distributivo e di pauperismo.

Questa fase (tale la voglio considerare) si presenta ai nostri occhi con una cruciale contraddizione non risolta : "se, entro quali limiti e se sia possibile far esprimere la capacità di efficienza e di sviluppo della libera iniziativa e del mercato in un sistema economico fondato sul profitto,conciliando tutto ciò con una distribuzione del reddito meno diseguale".

sabato 10 marzo 2012

LE SPINTE MOTIVAZIONALI

Mi son chiesto se una certa pigrizia mentale, che riguarda la maggioranza di noi,stia lasciando passare inosservata una cesura che, alla fine,si rivelerà epocale e che inciderà in maniera profonda senza che ci si sia misurati con la formulazione di un giudizio prognostico.


Quella attuale è una semplice crisi ciclica o la fine di una intera epoca? Una domanda che appare pertinente se si pone l'attenzione sullo scenario nazionale ed internazionale degli ultimi anni; si può convenire che sia l'Italia che l'Europa, specie quella comunitaria, stiano realizzando un profondo mutamento nei propri assetti economici e sociali e stiano dando vita ad una nuova ed imprevedibile epoca che deve nascere dalle ceneri degli entusiasmi ricostruttivi post bellici e dalla condivisibilità della voglia di sviluppo e benessere collettivo.
Ciò che questa cesura mostrerà dipende dall'esito di quel conflitto innescato da chi pone al centro del comportamento umano la soddisfazione di bisogni e la tutela di interessi, di cui ciascuno è portatore, incardinati però in una visione dei meccanismi necessari all'economia volti all'arricchimento a tutti i costi e senza alcun riguardo ai bisogni ed agli interessi degli altri.

Il lessico attuale sta ancora ruotando attorno alle classiche categorie di pensiero ottocentesco e primo novecentesco del "liberalismo" del "socialismo" del "mercato" e del "welfare" ed infine del "parlamentarismo" e della "democrazia".
Ma io credo che il lessico dovrebbe cambiare radicalmente ed andare ben oltre quelle categorie posto che le dinamiche che si stanno innescando lo hanno già nei fatti cambiato.
Perchè non cimentarsi in una realistica definizione e periodizzazione dello stato attuale con le sue asimmetrie.che disaggregano sul piano cronologico le esperienze e le conquiste sociali che si pensava fossero irreversibili ed irrinunciabili e che
anzi dovessero servire per colmare di nuove aspettative e di nuovi orizzonti di senso quel contenitore vuoto che è il nostro futuro.


Quella che si profila invece è una diversa ed articolata visione del mondo nella quale :conoscenze scientifiche, tecnologie e strutture economiche efficienti,volte alla massimizzazione della produttività del lavoro,hanno smarrito la loro originaria funzione di strumento di progresso avente come destinatario finale l'uomo con i suoi bisogni e che appaiono, invece, rivolte al suo progressivo annichilimento.
Una visione a monte della quale si accampa quel compiuto processo di disincanto definito da M.Weber come regolatore della vita sociale,nella quale l'idea del "giusto" del "buono" e del "vero" non è più il fondamento di una progettazione finalistica ad essa collegata.
Quella che si intravede è una vita sociale intrappolata in un tempo indefinito dal punto di vista cronologico (proprio a causa di quella cesura) ma senza più visioni ne valori ed inclusa in uno spazio quantitativo e trasformata in elemento oggettivo di una esistenza deteriorata e non libertaria : "Trasformati in macchine viventi che non vivono ma sono vissute, che non pensano ma sono pensate",mosse da forze anonime che sono dentro e fuori di esse.
Uno spazio dentro il quale i valori ( e da un altro punto di vista i disvalori) che ispirano quella visione nei suoi comportamenti economici altro non sono che desideri che, nell'aspetto motivazionale, non possono essere definiti "bisogni" ma desiderio di arricchimento a qualsiasi costo ed a discapito degli altri ma nobilitato come "missione".



Fin quì lo sfogo, chiamiamolo pure, di filosofia spicciola come può essere quella di un comune cittadino che vorrebbe andare "dentro " a quanto sta maturando in questo momento.
Tralasciando, per il momento, quello che il panorama globale offre ad una analisi macro, mi sento di fare un passo "oltre", focalizzando l'attenzione e la ricerca di risposte sulla situazione italiana; alla politica in generale ed ai partiti in particolare che mi appaiono, senza offesa, i grandi professionisti dell'opera dei pupi.


Non ci vuole molto per rendersi conto che quella di fronte alla quale il paese assiste disorientato e sfiduciato è la vendita di un prodotto: l'interesse del Paese Italia imbellettato di "bene comune" di fronte al quale i partiti hanno fatto il grande e generoso "passo indietro".
Argomentazioni queste che malamente mascherano una evidente ed astuta tattica del tirarsi fuori dal dover o saper prendere delle decisioni difficili , potendone così attribuire la responsabilità ai non politici di partito e cioè ai "tecnici di necessità" e rimanendo nel contempo,in un versante, paladini di interessi particolari da tutelare e da difendere, e nell'altro, compartecipi responsabili di una rinuncia che maschera una incapacità di formulare una iniziativa politica e programmatica alternativa ed efficace.