Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

venerdì 17 febbraio 2012

LA DIGNITAS


E' di oggi la notizia che un Presidente della Repubblica ha rassegnato le sue dimissioni dall'incarico.
E' Cristian Wolff, Presidente della Repubblica Federale Tedesca dal 2010.
Tanto di Cappello!
Da questo episodio emerge un aspetto che sembra essere desueto, specie alle nostre latitudini.
Si tratta della componente valoriale che è la Dignitas; quella che conferisce le "certezze" sui valori cui debbono riferirsi coloro che sono chiamati a rivestire posti di responsabilità nella " Res Pubblica".
Un collante che, attraverso l'esempio,forma una comunità, la definisce e mantiene vivi in essa i modelli comportamentali a cui le persone dabbene,debbono fare riferimento.

giovedì 16 febbraio 2012

CORTOCIRCUITO DELLA DEMOCRAZIA ?

Non è facile dare un significato politico a quanto si sta sviluppando sia nei processi economici e sociali, che nelle misure che i governi,specie in Europa,si apprestano o hanno iniziato già a mettere in campo, in risposta alle bocciature dei"debiti sovrani"da parte delle cosiddette Società di rating.


Già il fatto stesso che queste Società private e pagate da terzi abbiano il potere di dare le pagelle alle strutture statuali,come se fossero delle imprese private,la dice lunga sulla loro natura e sulla loro indipendenza ed obiettività.

Ho già avuto modo di commentare sull'arroganza di questi "organismi" che operano con una tattica da cecchinaggio e che utilizzano le lettere dell'alfabeto a mo di proiettili che colpiscono,quando meglio credono,il cuore delle economie e la credibilità di interi Stati.



Tutto dipenderebbe dallo strapotere del "Mercato" che in molti teorizzano faccia le sue scelte in base all'elemento "fiducia", generata dalla "stabilità", a sua volta garantita dal "rigore" della gestione governativa e dallo stile di vita dei cittadini di ciascun Stato.
Questa prospettiva, che mette su un piano prioritario la misura della certezza della solvibilità,cozza fortemente con la essenza stessa del soggetto "Stato" e delle sue dinamiche economico-sociali.

Sbaglia chi teorizza che possa essere gestito come una grande Impresa, poichè in Esso trovano la loro sede espressiva ed attuativa una molteplicità di"valori"che riguardano tutti gli aspetti del vivere civile, dall'economico al sociale; e quei valori sono l'essenza stessa della Democrazia.
Le dinamiche d’impresa svolgono la loro azione in un contesto privatistico nel quale il valore preminente è il profitto.


Uno Stato,per sua natura,necessita e non possono essere disconosciuti,di meccanismi ed elasticità temporali idonei a svolgere la loro funzione primaria che è quella di tutelare il benessere della collettività e sopperire ai suoi bisogni sociali.

Dunque viene di domandarsi come è possibile che accada quello che sta accadendo.


E' chiaro che un intero continente è sotto attacco.
Viene da chiedersi perciò : quale sarà il prezzo ultimo delle decisioni strategiche che stanno incidendo profondamente sul suo futuro ?

Oltre che constatare il disconoscimento di fatto e quindi la messa in crisi delle sovranità degli Stati Nazione e del loro assetto democratico, occorre anche prendere coscienza di come queste "strategie" stiano, in maniera scientifica e decisa,dando il colpo di grazia a quella ideologia che ha avuto la dignità ed il benessere dell'uomo al centro del suo dibattito culturale e politico e di tutte le azioni di governo da esso ispirate.
Una strategia abilmente mascherata,come ho paventato in altro post,come necessitas" di una azione tecnocratica avente come caposaldo la”competenza”da mettere in campo sul piano economico ma che surrettiziamente investe il campo dei valori di uno Stato di diritto e democratico.

L'anomalia :

*La incapacità e la rinuncia dei partiti alla loro funzione di governo della rappresentanza loro delegata dal voto popolare, specie in un momento di acuta crisi;


*L'innesto anomalo di un esecutivo tecnico (in apparenza) in una dimensione di vero e proprio "potere degli esperti" e di dictator rei gerendae causa;

In conclusione :

Un definitivo trionfo di una ideologia liberista della gestione degli Stati,avviata con le "deregulations" Reaganiane e Thatcheriane e la definitiva messa in soffitta delle politiche Keynesiane.


Quello che sta sconvolgendo la Grecia ed il suo tessuto sociale dovrebbe accendere un vero e proprio dibattito europeo sul futuro di una Europa che appare sempre più lontana dalla visione dei suoi padri fondatori e dalle illusioni di tanti che, come me, hanno condiviso intimamente una idea ,forse ingenuamente romantica ,di un possibile percorso unitario dei popoli di questo nostro continente che si sono combattuti con lunghi e feroci conflitti.

Quella soluzione, frutto di lungimiranza di uomini di alto spessore politico come Altiero Spinelli e Ernesto Rossi ( con il loro manifesto di Ventotene); Robert Schumann( con la dichiarazione che porta il suo nome); Konrad Adenauer ed Alcide De Gasperi fu concepita allo scopo di porre un argine insormontabile alle possibili future conflittualità tra Stati il cui lascito aveva significato macerie e milioni di morti in Europa e non solo.


Quel disegno doveva significare il contributo che una Europa organizzata e vitale avrebbe apportato alla civiltà.
Una Europa sorta da realizzazioni concrete generatrici di una solidarietà di fatto e frutto di un,sia pur lungo, processo storico e di uno sviluppo spirituale condiviso.

giovedì 9 febbraio 2012

L'ANTROPOLOGIA DI UN POPOLO.

Un popolo dall'identità incompiuta ? Protagonista di un irrisolto conflitto tra individualità e socialità e disinteressato a qualsiasi collante in grado di realizzare una unità, sia pur nella complessità, fatta di complementarietà ed antagonismo dei due aspetti,ma che certifica,alla fine,la vitalità e l'identità di un popolo e lo fa sentire Nazione.

E dire che,così come la nostra identità di individui è "narrativa",altrettanto lo è quella come popolo.
Forse la nostra è una troppo grande narrazione che,nel suo divenire,ha visto nascere e tramontare grandi imperi e piccole signorie; assurgere ad epicentro del mondo conosciuto ed al suo sgretolarsi, terra di conquista e campo di battaglia sul quale le brame di dominio di potenze nascenti ed in espansione si sono scontrate per secoli.
Da conquistatori divenuti conquistati.Ancora una volta crocevia di modelli sociali, culturali,credenze religiose e miti che, tutti, hanno lasciato la loro traccia e fertilizzato la nostra essenza individuale ma cancellato una memoria collettiva propedeutica al conservare consapevolmente ed accrescere un idem sentire.
Quella essenza individuale resa anche infertile nel terreno della consapevolezza politica e civile,a causa delle esperienze di asservimento a Principi e Feudatari
ed al loro dispotismo che,paradossalmente,sembrano ancora essere percepibili per certi apetti, nel tessuto socio-politico dei nostri tempi.

L'esperienza dataci dalla moderna storia nazionale e per prima quella relativa al tentativo di una "costruzione unitaria" , con il senno di oggi,le potremmo definire "le buone intenzioni che danno un frutto destinato a marcire".
Perchè una definizione così dura e pessimistica ? Forse perchè la storia (quella che per citare Jurgen Habermas)  affidata a chi "parla in prima persona" ha avuto un obiettivo essenzialmente pedagogico, volto a generare e conservare il consenso attorno ad alcuni valori considerati essenziali per la convivenza civile.
Una riflessione, questa, che mette in conto a quel "processo" la definizione come tentativo di costruzione, non ispirata dal basso (cioè dalle popolazioni) ma come prospettiva elitaria, elaborata da intellettuali, da menti aperte ad una visione di futuro più moderno e in libertà; ma anche da fini e pragmatiche menti politiche che non avevano nulla a che vedere con l'idealismo che sognava una fratellanza tra popolazioni con eguali radici di civiltà e sentimento religioso.

Un processo portato avanti, con un certo successo da una retorica autoritaria nel ventennio fascista (Dio,Patria e Famiglia) e che,qualche tempo prima aveva avuto un suo battesimo di sangue con la inedita guerra di massa (1915-1918)con quasi sei milioni di mobilitati da tutte le contrade del Regno ed un contributo di 700.000 morti da parte delle famiglie italiane, dal nord al sud.

Più di sessant'anni di storia repubblicana,fatta di trasformazioni tumultuose e spesso radicali, il cui significato mette in luce momenti di innovazione e momenti di crisi e che oggi sembrano investire l'identità stessa del paese e danno centralità alle trasformazioni economiche e sociali ed agli elementi di degenerazione che si sono sviluppati nel sistema partitico e non solo. Queste ultime,occorre dirlo, hanno inciso profondamente nel tessuto civile e culturale del popolo italiano,specie negli ultimi decenni.

Perchè non parlare anche del decadimento del tessuto culturale posto che nel passato post unitario proprio gli intellettuali,"maestri del pensiero"furono
chiamati ad edificare una coscienza e anche strutture intellettuali nazionali cosa che nei secoli precedenti non avevano avuto modo di formarsi. In Italia esisteva un problema che altrove neanche si poneva o si poneva in forma molto più attenuata: quello di creare una cultura che, conformemente a quanto si veniva facendo nel campo delle strutture (scuola, alfabetizzazione ecc.), favorisse la crescita di un comune sentire nazionale.



Dove è finito questo mondo di "maestri",oggi in gran parte silenzioso sui veri mali di questo Paese?Una assenza della cultura che ha consentito un vero e proprio obnubilamento delle coscienze individuali e lasciato che si realizzasse una vera e propria emigrazione della coscienza soggettiva verso automatismi e supporti materiali che fissano il centro degli interessi negli aspetti marginali dell'esistenza: l'eccentricità; i doni risultanti da una attività in cui immergere le aspettative perdendo di vista l'aspetto essenziale della dimensione individuale prima e di quella sociale poi.
Tutto ciò ha visto emergere figure di "capi", meneurs de foules, spacciatori di menzogne e illusioni. Un opera di vero e proprio disassemblaggio di modelli di convivenza e l'innesto di sub-culture volte alla riscoperta e rivalorizzazione di un "humus" delle tradizioni, dei linguaggi dialettali con pretese di "Lingua",e



quant'altro, volti forse a coprire un miscuglio esplosivo di egoismi di gruppi particolari e di risentimenti verso centri di indirizzo lontani dal "locale".
Rimane chiaro alla fine che questa antropologia è tale perchè orfana di quei "ponti di senso" che da tempo la Cultura e la Politica hanno rinunciato a mantenere tra il "locale" ed un sistema coordinato come quello "statuale".

Riporto un j'accuse" di Anna Madia che condivido pienamente :
"A chi dovremmo chiedere di pagare, oggi, il prezzo di averci dato un Italia più chiusa, più paurosa, più egoista, un’Italia che guarda indietro e non avanti. Dovremmo chiedere di rispondere per averci dato un Paese che sfrutta l’immigrato ma gli sputa addosso, e di rispondere per essersi pasciuti di una Italia unita ma aver sedotto il popolo con ricette separatiste. A chi dovremmo chiedere di rispondere per aver tenuto in piedi quella stessa politica improduttiva e sprecona che diceva di voler combattere.
E dovremmo, con ancor più forza, chiedere di pagare per aver fatto, in Italia, di tutta l’erba un fascio, per averci insegnato che siamo uomini che nascono e che muoiono in categorie già definite, da criticare o da osannare a seconda del chilometro quadrato su cui i loro avi hanno piantato le tende.
A chi dovremo chiedere, oltre che a noi stessi, di pagare per aver fatto del Nord quel che il Nord non era, per aver contribuito ad imbarbarirci giorno dopo giorno, contribuito a farci perdere la fierezza di dire da dove veniamo. Quasi che la nostra terra, con le linee continue della sua pianura e le curve dei sentieri delle sue montagne, non fosse più quella che ci ha partoriti, ma la proprietà di un conquistatore che non ci lascia più modo di riconoscerla".
"

giovedì 2 febbraio 2012

I COSTI DEL SISTEMA

Nel 1993 il finanziamento pubblico ai partiti fu abrogato con un referendum con il 90,3% dei voti, ma un partito può vivere senza soldi? I partiti, che godono del vantaggio di occupare il Parlamento, hanno legiferato negli anni per riparare al referendum. Tutti in coro, senza distinzioni ideologiche nel nome della forchetta, il vero simbolo del Parlamento. La parola finanziamento viene sostituita dal termine, molto più elegante, "rimborso" per depistare i cittadini. Nel 1999 la legge 157/1999 introduce fondi per elezioni a Camera, Senato, Parlamento Europe e Regionali con un massimo complessivo per Camera e Senato di 193.713.000 in rate annuali per legislatura. In caso di elezioni anticipate si interrompe il "rimborso".



I partiti hanno però spese che noi umani non possiamo neppure immaginare e modificano la normativa nel 2002 con la legge 156/2002 che porta il monte premi per il Parlamento a 468.853.675 euro e riduce all'1% (dal 4%) il quorum necessario per ottenere il rimborso. I partiti, il cui organo più sviluppato è sempre stato lo stomaco, non si fermano qui.

Nel 2006, la legge 51/2006 introduce il doppio rimborso in caso di elezioni anticipate. Il rimborso vale per tutti e cinque gli anni di legislatura, anche se interrotta, e si cumula al rimborso della legislatura successiva. Per le elezioni politiche del 2008 il Pdl ha maturato il diritto a 206.518.945 euro, il Pdmenoelle 180.418.043 , la Lega 41.384.550 euro e via rapinando, tutti gli altri partiti (ogni rimborso va sommato al residuo delle elezioni del 2006, quindi circa la metà). Il costo dei partiti, esclusi gli stipendi ai vari eletti, si avvicina alla somma di un miliardo di euro se si sommano i rimborsi per la legislatura corrente, la parte di quella passata comunque retribuita, le elezioni europee e quelle regionali.


Dal Web: Beppe Grillo