Trasformazioni in atto nella Società e come la Politica,con le sue azioni,le influenza.
Politica e Valori
mercoledì 30 novembre 2011
EPITAFFIO DEL NEOLIBERISMO
Un giusto epitaffio ?
Mai come in questo momento storico, sono stati messi in discussione il modello di sviluppo complessivo ed i corrispondenti assetti sociali.
Fino ad ora la capacità di garantire una certa dose di giustizia sociale è stato uno degli indicatori privilegiati dello stato di salute del rapporto tra Stato e cittadini.
Anni di mancata "rivoluzione liberale", una politica ed un tipo di governance, di fatto hanno impedito le riforme innovatrici che avrebbero potuto essere efficaci, quali misure stabilizzatrici dell'economia per il raggiungimento di una equità fiscale e di un giusto rapporto tra spesa sociale e crescita economica.
Se si guarda alla grande crisi del settore delle piccole e medie imprese, alla quasi inesistenza di investimenti nell'innovazione ed alla compressione dei consumi ci si da il perchè della massiccia riduzione dell'occupazione , trasformata in lavoro precario e del reale peggioramento complessivo delle condizioni di vita della generalità delle persone.
La regia per la soluzione dei problemi cogenti e l'avvio di riforme che vanno ad incidere profondamente sullo stile di vita e sugli orizzonti esistenziali è stata affidata ad un teem,titolare dei requisiti della competenza e che concretizza la sua dimensione di vero e proprio "potere degli esperti" nell'azione di governo.
Quel che mi lascia diffidente è ciò che non traspare, celato sicuramente, dietro un atteggiamento negoziale e pragmatico come metodo di problem solving e che, dalle prime anticipazioni solutive rivela il preludio ad un annichilimento del ruolo sociale della mano pubblica.
L'attacco al sistema pensionistico e del welfare in generale ne è a mio avviso un evidente indicatore.
Non si ancora sentito un ben che minimo accenno a provvedimenti che abbiano come fine la crescita.
E' condivisibile che un organismo che manifesti una febbre da cavallo abbisogni di ricette che ne neutralizzino la virulenza ma è anche del tutto evidente che una adeguata cura ricostituente debba essere contestualmente necessaria.
domenica 27 novembre 2011
IL PIANO
Tutti sono impegnati nella formulazione di "Piani" per uscire dalla crisi.
La mettiamo in provocazione ironica ?
Ecco!
Mi si perdonerà per questo :
Dal Web
All'inizio c'era "il Piano"
E poi vennero i presupposti
E i presupposti erano senza forma
E il Piano era senza sostanza
E l'oscurità scese sulle facce dei dipendenti
E i dipendenti parlarono tra loro dicendo :
"E' una vera stronzata e puzza maledettamente"
E i dipendenti andarono dai loro superiori e dissero :
"E' un secchio di cacca e non riusciamo a sopportarne la puzza"
E i superiori andarono dai loro manager e dissero :
"E' un contenitore di rifiuti organici e l'odore è talmente forte che nessuno riesce a sopportarlo"
E i manager andarono dai loro direttori e dissero:
"E' un sacco di fertilizzante e nessuno può resistere all'odore"
E i direttori parlarono tra loro dicendo :
"Contiene ciò che aiuta le piante a crescere ed è molto potente " e lo riferirono al Vice Presidente
E il Vice Presidente andò dal Presidente e gli disse :
"Questo nuovo piano promuoverà attivamente la crescita ed il vigore della Società con effetti poderosi"
E il Presidente guardò il Piano e vide che era buono
E il Piano divenne politica aziendale
Ed è per questo che l'Azienda si trova nella cacca fino al collo
La mettiamo in provocazione ironica ?
Ecco!
Mi si perdonerà per questo :
Dal Web
All'inizio c'era "il Piano"
E poi vennero i presupposti
E i presupposti erano senza forma
E il Piano era senza sostanza
E l'oscurità scese sulle facce dei dipendenti
E i dipendenti parlarono tra loro dicendo :
"E' una vera stronzata e puzza maledettamente"
E i dipendenti andarono dai loro superiori e dissero :
"E' un secchio di cacca e non riusciamo a sopportarne la puzza"
E i superiori andarono dai loro manager e dissero :
"E' un contenitore di rifiuti organici e l'odore è talmente forte che nessuno riesce a sopportarlo"
E i manager andarono dai loro direttori e dissero:
"E' un sacco di fertilizzante e nessuno può resistere all'odore"
E i direttori parlarono tra loro dicendo :
"Contiene ciò che aiuta le piante a crescere ed è molto potente " e lo riferirono al Vice Presidente
E il Vice Presidente andò dal Presidente e gli disse :
"Questo nuovo piano promuoverà attivamente la crescita ed il vigore della Società con effetti poderosi"
E il Presidente guardò il Piano e vide che era buono
E il Piano divenne politica aziendale
Ed è per questo che l'Azienda si trova nella cacca fino al collo
SOLTANTO UNA TEMPESTA MONETARIA ?
Non lo so! Mi sembra tanto una riproposizione di una fase di ristrutturazione del capitalismo avente come scopo il rovesciamento delle priorita di rapporti tra Stato e cittadini.
Si è rotto il teorema della crescita economica senza limiti e condizionata soltanto dai cicli produttivi.
Le variabili dirompenti sono diverse :
La crescita abnorme del debito pubblico dei paesi occidentali,insostenibile se non per brevi periodì ;
Il costo del lavoro che la globalizzazione dei mercati ha reso elemento basilare per sostenere una competizione sana e corretta e che si scontra con i comportamenti delle economie dei paesi emergenti in materia di regole di mercato e di diritti che determinano una concorrenza a dir poco sleale;
La inadeguatezza o il superamento degli indici economici del modello ideale determinato dai trattati di Maastricht come base per la nascita della moneta unica ed in seguito dell'Unione economica europea.
Le conseguenze prevedibili, ma che sono già materia di decisioni governative sono nell'ordine di una drastica riduzione delle attese sociali con l'inposizione di un mutamento consistente,rispetto alle conquiste ,in materia di garanzie e di disparità sociale ormai nella tradizione di un paese.
L'Italia affronta questa crisi nelle situazioni peggiori che fanno presagire un ripensamento dello stile di vita e di sacrifici da sopportare.
La barca della moneta unica beccheggia tra le correnti di un monetarismo e dottrine sulla massima liberalizzazione di matrice anglo-sassone e di una inclinazione "uber alles" di una Germania che, Bismarckianamente, avoca a se il ruolo di "terra di mezzo" degli equilibri mitteleuropei.
Si è rotto il teorema della crescita economica senza limiti e condizionata soltanto dai cicli produttivi.
Le variabili dirompenti sono diverse :
La crescita abnorme del debito pubblico dei paesi occidentali,insostenibile se non per brevi periodì ;
Il costo del lavoro che la globalizzazione dei mercati ha reso elemento basilare per sostenere una competizione sana e corretta e che si scontra con i comportamenti delle economie dei paesi emergenti in materia di regole di mercato e di diritti che determinano una concorrenza a dir poco sleale;
La inadeguatezza o il superamento degli indici economici del modello ideale determinato dai trattati di Maastricht come base per la nascita della moneta unica ed in seguito dell'Unione economica europea.
Le conseguenze prevedibili, ma che sono già materia di decisioni governative sono nell'ordine di una drastica riduzione delle attese sociali con l'inposizione di un mutamento consistente,rispetto alle conquiste ,in materia di garanzie e di disparità sociale ormai nella tradizione di un paese.
L'Italia affronta questa crisi nelle situazioni peggiori che fanno presagire un ripensamento dello stile di vita e di sacrifici da sopportare.
La barca della moneta unica beccheggia tra le correnti di un monetarismo e dottrine sulla massima liberalizzazione di matrice anglo-sassone e di una inclinazione "uber alles" di una Germania che, Bismarckianamente, avoca a se il ruolo di "terra di mezzo" degli equilibri mitteleuropei.
WILL DO WHAT THEY WANT ?
Mi pare superfluo sottolineare come, nel caso della governance di un Paese, la qualificazione di Tecnocratico appare"more solito" alquanto ambigua se la si deve riferire alla effettiva identità funzionale dei protagonisti chiamati ad un incarico così complesso.
Il richiamare il profilo della competenza ad essenziale fondamento del "potere degli esperti" fino ad ora utilizzata come mera consulenza a beneficio degli organi politici, invece, ad essere un vero e proprio elemento sostitutivo nella funzione di decision-making sulla cosa pubblica,non può che significare una implicita presa d'atto della incompetenza e della rinuncia totale (voluta o subita) alla discrezionalità propria della sfera politica.
La domanda che sorge spontanea,e che mi son posto in un precedente post,è se sia sufficiente la competenza per necessitare decisioni sui fini dell'azione sociale quando proprio questi ultimi chiamano in causa opzioni di valori.
Nelle società complesse, come la nostra, le arene in cui si sviluppa la dinamica socio-politica,e nel cui ambito occorre prendere le decisioni, sono molteplici.
Ci si può riferire all'area parlamentare,a quella partitica,a quella finanziaria e della comunicazione di massa come ambiti problematici del nostro paese.
La necessità di un "governo dell'economia"così stringente,quali sviluppi potrà condurre sul piano politico e sociale?
Così può prendere corpo una ipotesi neo corporativa che nei momenti di crisi può, alla fine, istituzionalizzare la rappresentanza di taluni interessi che possono portare ad un unicum i processi di rappresentanza e di decisione.
Una navigazione molto difficile in mezzo ai flutti che Parlamenti e Mercato vanno
rappresentando per chi deve tenere diritta una barra soggetta a tante sollecitazioni
Siamo veramente ad un punto così critico da dover fare gli hausaufgaben per dirla alla Merkel( i compiti a casa )?
Il richiamare il profilo della competenza ad essenziale fondamento del "potere degli esperti" fino ad ora utilizzata come mera consulenza a beneficio degli organi politici, invece, ad essere un vero e proprio elemento sostitutivo nella funzione di decision-making sulla cosa pubblica,non può che significare una implicita presa d'atto della incompetenza e della rinuncia totale (voluta o subita) alla discrezionalità propria della sfera politica.
La domanda che sorge spontanea,e che mi son posto in un precedente post,è se sia sufficiente la competenza per necessitare decisioni sui fini dell'azione sociale quando proprio questi ultimi chiamano in causa opzioni di valori.
Nelle società complesse, come la nostra, le arene in cui si sviluppa la dinamica socio-politica,e nel cui ambito occorre prendere le decisioni, sono molteplici.
Ci si può riferire all'area parlamentare,a quella partitica,a quella finanziaria e della comunicazione di massa come ambiti problematici del nostro paese.
La necessità di un "governo dell'economia"così stringente,quali sviluppi potrà condurre sul piano politico e sociale?
Così può prendere corpo una ipotesi neo corporativa che nei momenti di crisi può, alla fine, istituzionalizzare la rappresentanza di taluni interessi che possono portare ad un unicum i processi di rappresentanza e di decisione.
Una navigazione molto difficile in mezzo ai flutti che Parlamenti e Mercato vanno
rappresentando per chi deve tenere diritta una barra soggetta a tante sollecitazioni
Siamo veramente ad un punto così critico da dover fare gli hausaufgaben per dirla alla Merkel( i compiti a casa )?
venerdì 25 novembre 2011
CONTEMPORANEITA' E FUTURO
Mai come in questo momento storico la connessione tra "contemporaneità " e "futuro" è apparsa così problematica. Ciò si deve,forse,al fatto che viviamo un presente che
sembra dinamicizzarsi in geometrie variabili, dove i mezzi di comunicazione di massa esercitano un forte potere di rifrazione con la trasmissione ,in tempo reale, di notizie,annunci,messaggi che riguardano la realtà sociale che ci circonda ma che è anche inserita in un più generale sistema interdipendente di relazioni.
Da ciò derivano svariati effetti e problemi ,posto che le risorse economico- finanziarie tendono a condizionare le gerarchie di potere.
Tutto ciò rende difficile un esercizio della prognosi che voglia cimentarsi nel prevedere una topografia di ciò che potrà delinersi in futuro.
Un futuro nel quale,in misura diversa, è presumibile possano aver sbocco le correnti in movimento che agitano il mondo globale.
E'dunque il tempo delle teorizzazioni con un forte impatto sul nesso tra contemporaneo e posterità.
Un esercizio che la storia moderna delle utopie ci tramanda con il "manifesto" di Karl Marx e Friedrich Engels, con il quale si auspicò la proprietà collettiva dei mezzi di produzione; di Lenin che teorizzò la estinzione degli apparati di governo della Società; di Oswald Spengler che presagì il "letale materialismo edonistico" quale fattore causale del declino dell'Occidente.
Utopie, frutto di aspirazioni della ragione, mai divenute realtà ma capaci di mettere in moto forze imponenti che hanno cambiato il corso della storia dei popoli.
Si può ben dire che il socialismo della "seconda internazionale" promosse la tutela del lavoro salariato ed alfabetizzò milioni di operai e contadini, così come il comunismo sovietico assorbì lo Stato nei congegni di una grandissima macchina burocratica, anche se sotto il controllo di un partito ed infine come il lamento Spengleriano sulle mollezze della società capitalistica generò il delirio guerriero del Terzo Reich.
Oggi, un avvenire che canti nuove utopie appare silente e le opere e gli affanni degli uomini che in esse hanno sancito il loro credo,sono definitivamente custodite nel ripostiglio della storia.
Nel presente, la interdipendenza nelle relazioni economiche internazionali(ad esempio la globalizzazione dei mercati finanziari; la transnazionalizzazione delle grandi imprese e la fruizione dell'ambiente globale) rimangono difficili da governare, là dove si tratta di dare soluzioni accettabili e che non si dimostrino fragili alla prova dei fatti.
sembra dinamicizzarsi in geometrie variabili, dove i mezzi di comunicazione di massa esercitano un forte potere di rifrazione con la trasmissione ,in tempo reale, di notizie,annunci,messaggi che riguardano la realtà sociale che ci circonda ma che è anche inserita in un più generale sistema interdipendente di relazioni.
Da ciò derivano svariati effetti e problemi ,posto che le risorse economico- finanziarie tendono a condizionare le gerarchie di potere.
Tutto ciò rende difficile un esercizio della prognosi che voglia cimentarsi nel prevedere una topografia di ciò che potrà delinersi in futuro.
Un futuro nel quale,in misura diversa, è presumibile possano aver sbocco le correnti in movimento che agitano il mondo globale.
E'dunque il tempo delle teorizzazioni con un forte impatto sul nesso tra contemporaneo e posterità.
Un esercizio che la storia moderna delle utopie ci tramanda con il "manifesto" di Karl Marx e Friedrich Engels, con il quale si auspicò la proprietà collettiva dei mezzi di produzione; di Lenin che teorizzò la estinzione degli apparati di governo della Società; di Oswald Spengler che presagì il "letale materialismo edonistico" quale fattore causale del declino dell'Occidente.
Utopie, frutto di aspirazioni della ragione, mai divenute realtà ma capaci di mettere in moto forze imponenti che hanno cambiato il corso della storia dei popoli.
Si può ben dire che il socialismo della "seconda internazionale" promosse la tutela del lavoro salariato ed alfabetizzò milioni di operai e contadini, così come il comunismo sovietico assorbì lo Stato nei congegni di una grandissima macchina burocratica, anche se sotto il controllo di un partito ed infine come il lamento Spengleriano sulle mollezze della società capitalistica generò il delirio guerriero del Terzo Reich.
Oggi, un avvenire che canti nuove utopie appare silente e le opere e gli affanni degli uomini che in esse hanno sancito il loro credo,sono definitivamente custodite nel ripostiglio della storia.
Nel presente, la interdipendenza nelle relazioni economiche internazionali(ad esempio la globalizzazione dei mercati finanziari; la transnazionalizzazione delle grandi imprese e la fruizione dell'ambiente globale) rimangono difficili da governare, là dove si tratta di dare soluzioni accettabili e che non si dimostrino fragili alla prova dei fatti.
giovedì 24 novembre 2011
LA FINE DEL COMPROMESSO SOCIALDEMOCRATICO ?
E' chiaro ormai ai più che, alla luce di quanto sta accadendo,ci si avvia alla definizione di un mutamento radicale dell'immaginario collettivo sperimentato e coincidente con la massima espansione in quasi tutti i paesi occidentali delle politiche di Welfare State.
Un mutamento iniziato già negli anni ottanta con la adozione dell'immagine del Mercato Globale e delle singolarità, avulse dai legami sociali.
La crisi viene così decodificata anche in virtù del deperimento di quell'insieme di valori, di pratiche istituzionali che avevano consentito , sulla base di quel compromesso socialdemocratico forme di intervento, con la spesa pubblica, volte ad assicurare prestazioni e sicurezze per fasce numerose di cittadini.
L'attuale declino lascia privo di sostanza un vasto mondo di soggetti e di cultura.
Man mano che la ideologia liberista, con la cosidetta liberalizzazione generalizzata è andata distruggendo gli strumenti di potere economico e di legittimazione morale che avevano consentito di alimentare la solidarietà sociale con la spesa pubblica, si è andato compiendo il declino della storia dei diritti sociali raggiunti dai "movimenti" del trascorso secolo.
Viene di chiedersi se la crisi dello Stato Sociale sia la conseguenza di una realizzazione dei suoi obiettivi che più oltre non possono andare in una fase di decrescita economica, o sia da coniugare con l'efficacia "politica" della contro offensiva neo-liberista nella ridotta arena del conflitto redistributivo,tutto interno, e la natura competitiva delle economie degli Stati ormai parte del mercato globale.
Un mutamento iniziato già negli anni ottanta con la adozione dell'immagine del Mercato Globale e delle singolarità, avulse dai legami sociali.
La crisi viene così decodificata anche in virtù del deperimento di quell'insieme di valori, di pratiche istituzionali che avevano consentito , sulla base di quel compromesso socialdemocratico forme di intervento, con la spesa pubblica, volte ad assicurare prestazioni e sicurezze per fasce numerose di cittadini.
L'attuale declino lascia privo di sostanza un vasto mondo di soggetti e di cultura.
Man mano che la ideologia liberista, con la cosidetta liberalizzazione generalizzata è andata distruggendo gli strumenti di potere economico e di legittimazione morale che avevano consentito di alimentare la solidarietà sociale con la spesa pubblica, si è andato compiendo il declino della storia dei diritti sociali raggiunti dai "movimenti" del trascorso secolo.
Viene di chiedersi se la crisi dello Stato Sociale sia la conseguenza di una realizzazione dei suoi obiettivi che più oltre non possono andare in una fase di decrescita economica, o sia da coniugare con l'efficacia "politica" della contro offensiva neo-liberista nella ridotta arena del conflitto redistributivo,tutto interno, e la natura competitiva delle economie degli Stati ormai parte del mercato globale.
sabato 19 novembre 2011
LA SFIDA TECNOCRATICA
Un "direttorio tecnico"assume la governance del Paese. Motivato dal bisogno di un governo dell'economia in grado di affrontare e risolvere,al meglio,i problemi che stanno mettendo a rischio la stabilità economica e sociale interna e della Comunità della quale l'Italia è parte essenziale.
Un aspetto nuovo o quanto meno, prima d'ora, marginale come essenza del Kratos riverberata nella decision-making sulla cosa pubblica.
Si assiste ad un vero e proprio reclutamento e designazione alle massime cariche pubbliche che,sospesa la forma elettiva, tipica della Democrazia, si traduce in vera e propria "cooptazione", tipica delle forme oligarchiche.
Il tutto nella speranza che il capisaldo dell'elemento tecnocratico,cioè la "competenza", possa accompagnare l'efficienza, necessarie per riempire il vuoto creatosi a seguito del declino delle ideologie politiche,della incapacità della stessa "Politica" rivelatasi come regno della incompetenza , della corruzione e dei particolarismi.
Il rischio che si avverte è quello che la"Tecnocrazia" espunga la politicità dalle decisioni relative all'azione pubblica; il dubbio rinvia alla "summa divisio" tra politica come regno dei fini e la competenza come regno dei mezzi.
La domanda quindi è : Colui cui spetta l'opzione ultima circa i fini avrà la capacità di comportarsi politicamente, posto che dovrebbe essere la politica ad "ordinare" la sintesi ?
Occorre tenere in considerazione che il gioco non si limita a muoversi sul terreno economico e dei mezzi dell'azione sociale ma , in maniera surrettizia, entra oltre che nel regno dei fini,anche in quello dei valori.
In definitiva il rischio è che si realizzi una interferenza complessiva sul piano politico che diventi funzionale alla affermazione di interessi, orientamenti e sistemi di valore non condivisi.
Un aspetto nuovo o quanto meno, prima d'ora, marginale come essenza del Kratos riverberata nella decision-making sulla cosa pubblica.
Si assiste ad un vero e proprio reclutamento e designazione alle massime cariche pubbliche che,sospesa la forma elettiva, tipica della Democrazia, si traduce in vera e propria "cooptazione", tipica delle forme oligarchiche.
Il tutto nella speranza che il capisaldo dell'elemento tecnocratico,cioè la "competenza", possa accompagnare l'efficienza, necessarie per riempire il vuoto creatosi a seguito del declino delle ideologie politiche,della incapacità della stessa "Politica" rivelatasi come regno della incompetenza , della corruzione e dei particolarismi.
Il rischio che si avverte è quello che la"Tecnocrazia" espunga la politicità dalle decisioni relative all'azione pubblica; il dubbio rinvia alla "summa divisio" tra politica come regno dei fini e la competenza come regno dei mezzi.
La domanda quindi è : Colui cui spetta l'opzione ultima circa i fini avrà la capacità di comportarsi politicamente, posto che dovrebbe essere la politica ad "ordinare" la sintesi ?
Occorre tenere in considerazione che il gioco non si limita a muoversi sul terreno economico e dei mezzi dell'azione sociale ma , in maniera surrettizia, entra oltre che nel regno dei fini,anche in quello dei valori.
In definitiva il rischio è che si realizzi una interferenza complessiva sul piano politico che diventi funzionale alla affermazione di interessi, orientamenti e sistemi di valore non condivisi.
mercoledì 16 novembre 2011
LE NUOVE DIMENSIONI ECONOMICO-ISTITUZIONALI
Un orizzonte che sembra disvelare in maniera sempre più chiara il cammino, irto di asperità e conflitti,della democrazia; quella che il mondo occidentale ha faticosamente costruito lungo i secoli a partire dal Demos della antica Grecia.
Un ultimo tratto: quello nel quale l'analisi dei meccanismi di funzionamento del mercato e delle sue implicazioni socio-economiche avevano trovato l'approdo in un riformismo ispirato al principio di solidarietà e di programmazione, con i suoi apparati di mediazione affinchè il benessere collettivo e la democrazia reale fossero tutelati dal libero gioco del Mercato.
Un profilo, quindi, di democrazia partecipativa quale contenitore dell'aspetto politico e dell'aspetto economico contemperati.
Un risveglio ad una enfasi di breve periodo se si considera il quadro istituzionale che si è andato trasformando, via via,con il tramonto delle ideologie socialdemocratiche e le politiche di deregulation e neo individualistiche, a favore di una riespansione dei mercati e delle spinte privatistiche.
Uno degli elementi caratterizzanti il nuovo scenario che ci vedrà soggetti passivi è il completamento dello smantellamento dello Stato Sociale con conseguente restituzione al Mercato di risorse e spazi che rendono egemone il criterio del calcolo economico nel sistema delle relazioni sociali : l'uomo come "uomo economico"
ed i suoi bisogni , economicamente misurabili.
Un trend giustificato dalle esigenze di risanamento del deficit pubblico, in una prima fase e dalla attuale sopravvenuta ed inderogabile necessità di azzeramento del debito sovrano degli Stati che fanno parte di quella organizzazione sovranazionale a carattere regionale che è costituita dalla U.E. ( A.U. Europeo/1987 e Trattato di Maastricht/1992 ), con tutto ciò che comporta in termini di vincoli.
Ma la sensazione è che, al di là della determinazione di semplici misure di efficienza del mercato a garanzia del
perseguimento della crescita economica e di riforma e riqualificazione dei meccanismi della macchina statuale, il contesto economico- istituzionale che si va delineando ,si configuri come dimensione unica e cioè quella dell'economico nella quale lo spazio del politico appare destinato ad essere definitivamente orfano della dimensione solidaristica.
La speranza è che un antiumanesimo radicale non realizzi una svolta epistemologica che interessi la teoria sociale, liberata da ogni impaccio soggettivistico ed antropologico e che consideri " l'uomo non come parte del sistema sociale ma come ambiente problematico del sistema". Sarebbe sicuramente una fuga dalla complessità, per cui le persone sarebbero ridotte ad equivalenti funzionali nel sistema e mera contingenza all'interno della strategia messa a disposizione dal sistema stesso.
Un ultimo tratto: quello nel quale l'analisi dei meccanismi di funzionamento del mercato e delle sue implicazioni socio-economiche avevano trovato l'approdo in un riformismo ispirato al principio di solidarietà e di programmazione, con i suoi apparati di mediazione affinchè il benessere collettivo e la democrazia reale fossero tutelati dal libero gioco del Mercato.
Un profilo, quindi, di democrazia partecipativa quale contenitore dell'aspetto politico e dell'aspetto economico contemperati.
Un risveglio ad una enfasi di breve periodo se si considera il quadro istituzionale che si è andato trasformando, via via,con il tramonto delle ideologie socialdemocratiche e le politiche di deregulation e neo individualistiche, a favore di una riespansione dei mercati e delle spinte privatistiche.
Uno degli elementi caratterizzanti il nuovo scenario che ci vedrà soggetti passivi è il completamento dello smantellamento dello Stato Sociale con conseguente restituzione al Mercato di risorse e spazi che rendono egemone il criterio del calcolo economico nel sistema delle relazioni sociali : l'uomo come "uomo economico"
ed i suoi bisogni , economicamente misurabili.
Un trend giustificato dalle esigenze di risanamento del deficit pubblico, in una prima fase e dalla attuale sopravvenuta ed inderogabile necessità di azzeramento del debito sovrano degli Stati che fanno parte di quella organizzazione sovranazionale a carattere regionale che è costituita dalla U.E. ( A.U. Europeo/1987 e Trattato di Maastricht/1992 ), con tutto ciò che comporta in termini di vincoli.
Ma la sensazione è che, al di là della determinazione di semplici misure di efficienza del mercato a garanzia del
perseguimento della crescita economica e di riforma e riqualificazione dei meccanismi della macchina statuale, il contesto economico- istituzionale che si va delineando ,si configuri come dimensione unica e cioè quella dell'economico nella quale lo spazio del politico appare destinato ad essere definitivamente orfano della dimensione solidaristica.
La speranza è che un antiumanesimo radicale non realizzi una svolta epistemologica che interessi la teoria sociale, liberata da ogni impaccio soggettivistico ed antropologico e che consideri " l'uomo non come parte del sistema sociale ma come ambiente problematico del sistema". Sarebbe sicuramente una fuga dalla complessità, per cui le persone sarebbero ridotte ad equivalenti funzionali nel sistema e mera contingenza all'interno della strategia messa a disposizione dal sistema stesso.
domenica 13 novembre 2011
POLITICA E MERCATO
Soltanto sette giorni fa: un tentativo, da uomo della strada, di dare una spiegazione ai vari fattori all'origine di quanto sta maturando con la crisi sistemica che coinvolge l'occidente industrializzato, capitalista, oltre che l'economia globale. Una conferma ,se ce ne fosse bisogno, di quanto siano suscettibili di radicali cambiamenti e forse anche di dissoluzione , i paradigmi che hanno costituito l'ossatura epistemologica dei meccanismi economico- sociali e politici dentro i quali si è sviluppata la convivenza . Poi la pausa mentale e l'attenzione, quasi spasmodica,allo tsunami di eventi che in Italia, più che altrove, ha scompigliato la già problematica situazione che i giochi della politica nostrana non era stata capace di affrontare in maniera concreta e solutiva.
Quella nostrana..., una classe politica piccola , provinciale e miope; incapace di guardare oltre la siepe del proprio orticello ed incapace di percepire o recepire le istanze dei cittadini e divenuta ormai corpo estraneo nella realtà sociale.
Questa incapacità ha autodequalificato la politica e la sua possibilità di creare e gestire una governance degna di un paese democratico e sviluppato , dando origine alla riedizione di una "Unverschamte Ubervachung" (direbbero i Tedeschi) "vergognosa supervisione permanente" che detta indirizzo politico , metodi e tempi nel governo dell'economia nazionale.
Si parla di necessità urgente di abbattimento del debito pubblico per mezzo di un programma dettato da entità monetarie ed istituzioni sovranazionali , ma ricordo anche che il nostro Paese possiede la 3° maggiore riserva di oro del mondo e cioè 2.451,80 tonnellate. I risparmi degli italiani non ho modo, ne capacità di quantificarli. Il sistema pensionistico è certificato in equilibrio fino al 2050. Infine ,i fondamentali non sono da buttar via.Ma di cosa si sta parlando!
Sul banco deglli imputati il pluridecennale "Debito Sovrano" !!
Sento montare un impulso fortissimo di indignazione se penso a ciò che la "politica" non ha evitato nel passato recente e parlo del 1992 quando Moodys declassò i BOT e si dovettero sacrificare le riserve valutarie ( ben 48miliadi di $ ); fu svalutata la £ italiana del 30% e si privatizzarono, svendendoli, Enti di Stato come ENI, ENEL,TELECOM. e,"dulcis in fundo", si misero le mani su tutti i conti bancari dei risparmiatori italiani.
Quando i mercati fanno il gioco pesante è la governance del paese ad essere chiamata alla correità!
Oggi si rischia, con queste ricette neo-liberiste, per risolvere la crisi, di assecondare il processo di smantellamento dello stato sociale e di frammentazione del lavoro anzicchè evitare il tracollo del monte salari per pilotare una politica sui redditi che eviti pericolosi avvitamenti deflazionistici.
Non ricordo chi , ebbe a dire che "la legge di mercato" è la cosa più violenta e stupida che si possa immaginare, al pari del debito pubblico che è per sua natura inestinguibile".
Quella nostrana..., una classe politica piccola , provinciale e miope; incapace di guardare oltre la siepe del proprio orticello ed incapace di percepire o recepire le istanze dei cittadini e divenuta ormai corpo estraneo nella realtà sociale.
Questa incapacità ha autodequalificato la politica e la sua possibilità di creare e gestire una governance degna di un paese democratico e sviluppato , dando origine alla riedizione di una "Unverschamte Ubervachung" (direbbero i Tedeschi) "vergognosa supervisione permanente" che detta indirizzo politico , metodi e tempi nel governo dell'economia nazionale.
Si parla di necessità urgente di abbattimento del debito pubblico per mezzo di un programma dettato da entità monetarie ed istituzioni sovranazionali , ma ricordo anche che il nostro Paese possiede la 3° maggiore riserva di oro del mondo e cioè 2.451,80 tonnellate. I risparmi degli italiani non ho modo, ne capacità di quantificarli. Il sistema pensionistico è certificato in equilibrio fino al 2050. Infine ,i fondamentali non sono da buttar via.Ma di cosa si sta parlando!
Sul banco deglli imputati il pluridecennale "Debito Sovrano" !!
Sento montare un impulso fortissimo di indignazione se penso a ciò che la "politica" non ha evitato nel passato recente e parlo del 1992 quando Moodys declassò i BOT e si dovettero sacrificare le riserve valutarie ( ben 48miliadi di $ ); fu svalutata la £ italiana del 30% e si privatizzarono, svendendoli, Enti di Stato come ENI, ENEL,TELECOM. e,"dulcis in fundo", si misero le mani su tutti i conti bancari dei risparmiatori italiani.
Quando i mercati fanno il gioco pesante è la governance del paese ad essere chiamata alla correità!
Oggi si rischia, con queste ricette neo-liberiste, per risolvere la crisi, di assecondare il processo di smantellamento dello stato sociale e di frammentazione del lavoro anzicchè evitare il tracollo del monte salari per pilotare una politica sui redditi che eviti pericolosi avvitamenti deflazionistici.
Non ricordo chi , ebbe a dire che "la legge di mercato" è la cosa più violenta e stupida che si possa immaginare, al pari del debito pubblico che è per sua natura inestinguibile".
sabato 5 novembre 2011
CRISI SISTEMICHE E DEMOCRAZIA
La critica al "capitalismo"ed al "mercato", nell'aspetto fondamentalista della sua ideologia ,viene giudicata figlia di una appartenenza storicamente tramontata e consegnata alla storia delle ideologie radicali.
Non è così. Le ricorrenti crisi sistemiche ( e specifichiamo che quella attuale non è una crisi dentro il sistema ma una crisi del sistema )che hanno segnato, e continuano a farlo,il mondo economico e sociale con un continuum di perdite di valore e di stabilità sociale non possono che indurre ogni persona, dotata di buon senso e di un minimo di cultura politico- economica, ad esercitare il diritto ad una anamnesi e ad una prognosi sicuramente non in senso preditttivo.
Quest'ultimo aspetto investe piuttosto la sfera di competenza e di azione degli economisti e degli uomini di stato per valutare le correnti in movimento ed i loro presumibili sbocchi.
La situazione attuale però pare dimostrare quanto queste capacità valutative siano state mal riposte, specie in alcuni Stati dove si è costruita una autocrazia legalmente organizzata ma con una sua tragica fragilità generatrice, nei momenti di crisi, di faide quasi bizantine tra lobbies e gruppi che guardano, alcuni a quella fonte come unica titolare di autorità e di potere, altri a considerare non più utile ai propri interessi il continuare a considerarla tale.
Molte le analisi ed i responsi, contrastanti tra loro, su quale tipo di sistema sia in crisi e perchè.
Alcune correnti di pensiero non intendono mettere sotto accusa il sistema capitalistico poichè capace di creare ricchezza e quindi benessere, che però dovrebbero essere più equamente redistribuiti; nemmeno il Mercato di per se, ma quello che si è andato affermando con i suoi meccanismi senza regole e completamente in zona franca rispetto al poter pubblico nella sua facoltà di intervenire nel governo dell'economia.
E' consapevolezza di oggi che sono i mercati ad inglobare i governi e non il contrario, e quando i governi perdono di autorevolezza e legittimazione possono essere le prime vittime di un Mercato privo di regole.
Mi viene alla mente il famoso "laissez faire - laissez passer" con il quale gli esponenti fisiocratici del XVII° secolo diedero l'avvio al liberismo economico ed al libero mercato, in quel momento storico e vi trovo molta analogia con il momento attuale, figlio dello stesso concetto calato nella complessità del mondo moderno e globalizzato.
Il nuovo slogan nel momdo globale e deregolamentato, vedi caso, è costituito dalla competitività che caratterizza un mercato in lotta per la sopravvivenza, nella quale tutti gli obiettivi di equità sociale vengono disconosciuti e calpestati . Ma sappiamo, dalle teorizzazioni Keynessiane,che"ogni società è libera di darsi la distribuzione del reddito che più si attaglia alla propria cultura,essendovi in essa un
margine abbastanza ampio nel quale il fattore determinante non è tanto la legge economica, quanto le abitudini e pratiche sociali ed il comportamento dell'opinione pubblica".
A ben vedere , questo dettame sembra calzare bene con quanto avvenuto negli ultimi decenni nei quali ,sia gli indirizzi politici che il governo dell'economia ,abbiano tenuto conto dei margini disponibili in quel senso per non governare seriamente l'economia al fine di mantenere il consenso popolare a qualsiasi prezzo.
Il prezzo lo si sta pagando eccome! Sia in termini di crescita che di stabilità.
Ne consegue che la attuale cultura economica riconosce legittimo che le sorti dell'industria dipendano dai sacrifici del salariati e degli stipendiati, poichè la loro stessa sorte dipende dalla sopravvivenza di quelle imprese ed è quindi nel loro stesso interesse accettare le riduzioni di salario ,i profitti elevati, le diseguaglianze crescenti.
In questo panorama si sta inserendo un nuovo fattore : la democrazia limitata ad opera di Istituzioni Sovranazionali di governo dell'economia.
Queste si, dovevano produrre quelle regole necessarie ad una corretta gestione dei mercati e della finanza internazionale ma sono invece impegnate in una interferenza e supplenza decisionale che tende ad imporre ciò che dovrebbe essere deciso ed applicato, a livello nazionale,con il diritto alla propria sovranità, da persone pubbliche affidabili, con competenze specifiche in rapporto ai bisogni generali e sensibili al senso dello Stato ed al primato del bene comune.
Non è così. Le ricorrenti crisi sistemiche ( e specifichiamo che quella attuale non è una crisi dentro il sistema ma una crisi del sistema )che hanno segnato, e continuano a farlo,il mondo economico e sociale con un continuum di perdite di valore e di stabilità sociale non possono che indurre ogni persona, dotata di buon senso e di un minimo di cultura politico- economica, ad esercitare il diritto ad una anamnesi e ad una prognosi sicuramente non in senso preditttivo.
Quest'ultimo aspetto investe piuttosto la sfera di competenza e di azione degli economisti e degli uomini di stato per valutare le correnti in movimento ed i loro presumibili sbocchi.
La situazione attuale però pare dimostrare quanto queste capacità valutative siano state mal riposte, specie in alcuni Stati dove si è costruita una autocrazia legalmente organizzata ma con una sua tragica fragilità generatrice, nei momenti di crisi, di faide quasi bizantine tra lobbies e gruppi che guardano, alcuni a quella fonte come unica titolare di autorità e di potere, altri a considerare non più utile ai propri interessi il continuare a considerarla tale.
Molte le analisi ed i responsi, contrastanti tra loro, su quale tipo di sistema sia in crisi e perchè.
Alcune correnti di pensiero non intendono mettere sotto accusa il sistema capitalistico poichè capace di creare ricchezza e quindi benessere, che però dovrebbero essere più equamente redistribuiti; nemmeno il Mercato di per se, ma quello che si è andato affermando con i suoi meccanismi senza regole e completamente in zona franca rispetto al poter pubblico nella sua facoltà di intervenire nel governo dell'economia.
E' consapevolezza di oggi che sono i mercati ad inglobare i governi e non il contrario, e quando i governi perdono di autorevolezza e legittimazione possono essere le prime vittime di un Mercato privo di regole.
Mi viene alla mente il famoso "laissez faire - laissez passer" con il quale gli esponenti fisiocratici del XVII° secolo diedero l'avvio al liberismo economico ed al libero mercato, in quel momento storico e vi trovo molta analogia con il momento attuale, figlio dello stesso concetto calato nella complessità del mondo moderno e globalizzato.
Il nuovo slogan nel momdo globale e deregolamentato, vedi caso, è costituito dalla competitività che caratterizza un mercato in lotta per la sopravvivenza, nella quale tutti gli obiettivi di equità sociale vengono disconosciuti e calpestati . Ma sappiamo, dalle teorizzazioni Keynessiane,che"ogni società è libera di darsi la distribuzione del reddito che più si attaglia alla propria cultura,essendovi in essa un
margine abbastanza ampio nel quale il fattore determinante non è tanto la legge economica, quanto le abitudini e pratiche sociali ed il comportamento dell'opinione pubblica".
A ben vedere , questo dettame sembra calzare bene con quanto avvenuto negli ultimi decenni nei quali ,sia gli indirizzi politici che il governo dell'economia ,abbiano tenuto conto dei margini disponibili in quel senso per non governare seriamente l'economia al fine di mantenere il consenso popolare a qualsiasi prezzo.
Il prezzo lo si sta pagando eccome! Sia in termini di crescita che di stabilità.
Ne consegue che la attuale cultura economica riconosce legittimo che le sorti dell'industria dipendano dai sacrifici del salariati e degli stipendiati, poichè la loro stessa sorte dipende dalla sopravvivenza di quelle imprese ed è quindi nel loro stesso interesse accettare le riduzioni di salario ,i profitti elevati, le diseguaglianze crescenti.
In questo panorama si sta inserendo un nuovo fattore : la democrazia limitata ad opera di Istituzioni Sovranazionali di governo dell'economia.
Queste si, dovevano produrre quelle regole necessarie ad una corretta gestione dei mercati e della finanza internazionale ma sono invece impegnate in una interferenza e supplenza decisionale che tende ad imporre ciò che dovrebbe essere deciso ed applicato, a livello nazionale,con il diritto alla propria sovranità, da persone pubbliche affidabili, con competenze specifiche in rapporto ai bisogni generali e sensibili al senso dello Stato ed al primato del bene comune.
martedì 1 novembre 2011
DEMOCRAZIA E CAPITALISMO
Le notizie che , quotidianamente, attraverso i media ed i giornali sollecitano i nostri pensieri e le nostre riflessioni suscitano nelle menti di noi semplici cittadini scenari preoccupanti su come potrà essere il nostro futuro prossimo.
Fatti e situazioni che prospettano nuove realtà che vanno a comporsi nel nostro immaginario e che potranno stravolgere la vita sociale del nostro paese e non solo.
Una governance che sollecita cambiamenti paradigmatici da concretizzarsi con provvedimenti legislativi;ciò comporterà nuove macerie sociali che potrebbero chiudere il processo di una narrazione tra le più incisive nella storia contemporanea.
Mi rifierisco a quel percorso storico ( come si può farne a meno! ) che ha visto protagonisti popoli ed elite, con l'intervento dei governi,nella costruzione di quello che è stato definito lo "Stato del Benessere" o per meglio dire il "Welfare State".
Un percorso tutto novecentesco , iniziato con la creazione della sicurezza sociale nella Germania di Bismarck sul finire dell'ottocento, passando per lo stato sociale marxista leninista ; dalle politiche sociali del fascismo in Italia e dal "welfare state" inglese del secondo dopoguerra ( Clement Attlee ) che fu ispirato alle idee del liberale Lord Beveridge e non dissimile da quanto realizzato dalle democrazie dei paesi del"Nord".La ricerca di una necessaria e voluta compatibilità tra socialismo possibile ed economia di mercato.
La si potrebbe definire l'ultima" età dell'oro " caratterizzata dal veloce mutamento dei costumi, da una rivoluzione tecnologica, generatrice di nuovi stimoli e di una nuova ristrutturazione sociale figlia delle nuove istanze.
Fu quella ristrutturazione sociale che vide il "lavoro" aprire un primo spazio ed una crepa nello assolutismo censorio dell'epoca precedente.
Fu attraverso il lavoro che emerse una nuova classe, certamente non figlia di rivoluzioni violente e portatrice di una sua autonomia economica , con un suo dinamismo generatore di uno spazio politico di partecipazione.
Un percorso che attraversa le menti come un film epico e che ha potuto intitolarsi "Democrazia Moderna", lontana mille miglia da quella della Grecia di Pericle, con il suo elitarismo.
Ma nella democrazia moderna sono i paesi industrializzati , in crisi per effetto della globalizzazione dei mercati, ad essere gli attori principali. Il prevalere del liberismo, del corporativismo e del potere finanziario forte ,tanto forte da dettare le sue regole alla politica, sta decretando la morte di tutti i paradigmi validi fino a qualche tempo fa.
Il panorama che si va delineando è quello di una struttura sociale e produttiva messa in discussione e che prende atto della perdita di valore del fattore lavoro asieme all'emergere di nuove povertà.
Il "lavoro" non più un valore fondante ; l'emergere di nuove povertà, impensabili fino a qualche tempo fa.
Si può ben considerare come questi due fattori stiano lacerando quel rapporto, fondamentale per la democrazia,costituito dal legame tra il valore lavoro e quello dei diritti.
L'aspetto più visibile è stato quello della precarizzazione del lavoro, che contiene in se il senso del suo impoverimento e che riporta alla memoria periodi nei quali esso era soltanto "sudore" e vita stentata in cambio di una misera mercede.
di fronte ai disvalori di cui sopra si erge trionfante un nuovo valore : il profitto fine a se stesso.
Ma se è vero che senza il capitalismo ed il mercato non ci può essere democrazia è anche vero che una, non dico perfetta, ma buona democrazia deve avere in se quegli anticorpi capaci di osteggiare efficacemente le sue tendenze peggiori ed essere in grado di esprimere e tutelare gli interessi diffusi in modo da bilanciare quelli forti.
La nostra società "democratica" ha all'interno delle sue dinamiche il contrapporsi di due tendenze valoriali : quella egualitaria e quell'altra elitaria che tende a definirsi con la gestione oligarchica del potere. In questo braccio di ferro alla prima la sua forza proviene proprio dal "lavoro", cioè dal suo valore sociale ed economico;alla seconda essa proviene dal suo efficientismo nel creare ricchezza.
Questo è il percorso ideale che ha portato alla formulazione dell'artico 1 della nostra Costituzione.
E' questo il solco che avrebbe dovuto essere preservato in questo che è uno dei momenti più difficili della vita economica di ogni paese,
specie quando i governi sembrano perdere la forza politica necessaria a mettere sotto controllo la situazione e sembrano incapaci di acquistare la consapevolezza necessaria per gestire una inversione di tendenza.
Quello che vedo è forse una incapacità di affrontare una grande sfida, tentando di fuggire all'indietro anzicchè guardare avanti, attingendo dalla grande narrazione del passato con i suoi assetti di civiltà in cui sono fioriti dei valori divenuti criteri di valutazione preminenti della realtà sociale.
Per tuttto ciò occorrerebbe il coraggio di correggere il grave squilibrio indotto da quel potente meccanismo di dominio e di trasformazione che è regolato dal semplice principio dell'egoismo "privato"; quello che spinge al massimo arricchimento dei singoli.
Fatti e situazioni che prospettano nuove realtà che vanno a comporsi nel nostro immaginario e che potranno stravolgere la vita sociale del nostro paese e non solo.
Una governance che sollecita cambiamenti paradigmatici da concretizzarsi con provvedimenti legislativi;ciò comporterà nuove macerie sociali che potrebbero chiudere il processo di una narrazione tra le più incisive nella storia contemporanea.
Mi rifierisco a quel percorso storico ( come si può farne a meno! ) che ha visto protagonisti popoli ed elite, con l'intervento dei governi,nella costruzione di quello che è stato definito lo "Stato del Benessere" o per meglio dire il "Welfare State".
Un percorso tutto novecentesco , iniziato con la creazione della sicurezza sociale nella Germania di Bismarck sul finire dell'ottocento, passando per lo stato sociale marxista leninista ; dalle politiche sociali del fascismo in Italia e dal "welfare state" inglese del secondo dopoguerra ( Clement Attlee ) che fu ispirato alle idee del liberale Lord Beveridge e non dissimile da quanto realizzato dalle democrazie dei paesi del"Nord".La ricerca di una necessaria e voluta compatibilità tra socialismo possibile ed economia di mercato.
La si potrebbe definire l'ultima" età dell'oro " caratterizzata dal veloce mutamento dei costumi, da una rivoluzione tecnologica, generatrice di nuovi stimoli e di una nuova ristrutturazione sociale figlia delle nuove istanze.
Fu quella ristrutturazione sociale che vide il "lavoro" aprire un primo spazio ed una crepa nello assolutismo censorio dell'epoca precedente.
Fu attraverso il lavoro che emerse una nuova classe, certamente non figlia di rivoluzioni violente e portatrice di una sua autonomia economica , con un suo dinamismo generatore di uno spazio politico di partecipazione.
Un percorso che attraversa le menti come un film epico e che ha potuto intitolarsi "Democrazia Moderna", lontana mille miglia da quella della Grecia di Pericle, con il suo elitarismo.
Ma nella democrazia moderna sono i paesi industrializzati , in crisi per effetto della globalizzazione dei mercati, ad essere gli attori principali. Il prevalere del liberismo, del corporativismo e del potere finanziario forte ,tanto forte da dettare le sue regole alla politica, sta decretando la morte di tutti i paradigmi validi fino a qualche tempo fa.
Il panorama che si va delineando è quello di una struttura sociale e produttiva messa in discussione e che prende atto della perdita di valore del fattore lavoro asieme all'emergere di nuove povertà.
Il "lavoro" non più un valore fondante ; l'emergere di nuove povertà, impensabili fino a qualche tempo fa.
Si può ben considerare come questi due fattori stiano lacerando quel rapporto, fondamentale per la democrazia,costituito dal legame tra il valore lavoro e quello dei diritti.
L'aspetto più visibile è stato quello della precarizzazione del lavoro, che contiene in se il senso del suo impoverimento e che riporta alla memoria periodi nei quali esso era soltanto "sudore" e vita stentata in cambio di una misera mercede.
di fronte ai disvalori di cui sopra si erge trionfante un nuovo valore : il profitto fine a se stesso.
Ma se è vero che senza il capitalismo ed il mercato non ci può essere democrazia è anche vero che una, non dico perfetta, ma buona democrazia deve avere in se quegli anticorpi capaci di osteggiare efficacemente le sue tendenze peggiori ed essere in grado di esprimere e tutelare gli interessi diffusi in modo da bilanciare quelli forti.
La nostra società "democratica" ha all'interno delle sue dinamiche il contrapporsi di due tendenze valoriali : quella egualitaria e quell'altra elitaria che tende a definirsi con la gestione oligarchica del potere. In questo braccio di ferro alla prima la sua forza proviene proprio dal "lavoro", cioè dal suo valore sociale ed economico;alla seconda essa proviene dal suo efficientismo nel creare ricchezza.
Questo è il percorso ideale che ha portato alla formulazione dell'artico 1 della nostra Costituzione.
E' questo il solco che avrebbe dovuto essere preservato in questo che è uno dei momenti più difficili della vita economica di ogni paese,
specie quando i governi sembrano perdere la forza politica necessaria a mettere sotto controllo la situazione e sembrano incapaci di acquistare la consapevolezza necessaria per gestire una inversione di tendenza.
Quello che vedo è forse una incapacità di affrontare una grande sfida, tentando di fuggire all'indietro anzicchè guardare avanti, attingendo dalla grande narrazione del passato con i suoi assetti di civiltà in cui sono fioriti dei valori divenuti criteri di valutazione preminenti della realtà sociale.
Per tuttto ciò occorrerebbe il coraggio di correggere il grave squilibrio indotto da quel potente meccanismo di dominio e di trasformazione che è regolato dal semplice principio dell'egoismo "privato"; quello che spinge al massimo arricchimento dei singoli.
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