Fatti e situazioni che prospettano nuove realtà che vanno a comporsi nel nostro immaginario e che potranno stravolgere la vita sociale del nostro paese e non solo.
Una governance che sollecita cambiamenti paradigmatici da concretizzarsi con provvedimenti legislativi;ciò comporterà nuove macerie sociali che potrebbero chiudere il processo di una narrazione tra le più incisive nella storia contemporanea.
Mi rifierisco a quel percorso storico ( come si può farne a meno! ) che ha visto protagonisti popoli ed elite, con l'intervento dei governi,nella costruzione di quello che è stato definito lo "Stato del Benessere" o per meglio dire il "Welfare State".
Un percorso tutto novecentesco , iniziato con la creazione della sicurezza sociale nella Germania di Bismarck sul finire dell'ottocento, passando per lo stato sociale marxista leninista ; dalle politiche sociali del fascismo in Italia e dal "welfare state" inglese del secondo dopoguerra ( Clement Attlee ) che fu ispirato alle idee del liberale Lord Beveridge e non dissimile da quanto realizzato dalle democrazie dei paesi del"Nord".La ricerca di una necessaria e voluta compatibilità tra socialismo possibile ed economia di mercato.
La si potrebbe definire l'ultima" età dell'oro " caratterizzata dal veloce mutamento dei costumi, da una rivoluzione tecnologica, generatrice di nuovi stimoli e di una nuova ristrutturazione sociale figlia delle nuove istanze.
Fu quella ristrutturazione sociale che vide il "lavoro" aprire un primo spazio ed una crepa nello assolutismo censorio dell'epoca precedente.
Fu attraverso il lavoro che emerse una nuova classe, certamente non figlia di rivoluzioni violente e portatrice di una sua autonomia economica , con un suo dinamismo generatore di uno spazio politico di partecipazione.

Un percorso che attraversa le menti come un film epico e che ha potuto intitolarsi "Democrazia Moderna", lontana mille miglia da quella della Grecia di Pericle, con il suo elitarismo.
Ma nella democrazia moderna sono i paesi industrializzati , in crisi per effetto della globalizzazione dei mercati, ad essere gli attori principali. Il prevalere del liberismo, del corporativismo e del potere finanziario forte ,tanto forte da dettare le sue regole alla politica, sta decretando la morte di tutti i paradigmi validi fino a qualche tempo fa.
Il panorama che si va delineando è quello di una struttura sociale e produttiva messa in discussione e che prende atto della perdita di valore del fattore lavoro asieme all'emergere di nuove povertà.
Il "lavoro" non più un valore fondante ; l'emergere di nuove povertà, impensabili fino a qualche tempo fa.
Si può ben considerare come questi due fattori stiano lacerando quel rapporto, fondamentale per la democrazia,costituito dal legame tra il valore lavoro e quello dei diritti.
L'aspetto più visibile è stato quello della precarizzazione del lavoro, che contiene in se il senso del suo impoverimento e che riporta alla memoria periodi nei quali esso era soltanto "sudore" e vita stentata in cambio di una misera mercede.

Ma se è vero che senza il capitalismo ed il mercato non ci può essere democrazia è anche vero che una, non dico perfetta, ma buona democrazia deve avere in se quegli anticorpi capaci di osteggiare efficacemente le sue tendenze peggiori ed essere in grado di esprimere e tutelare gli interessi diffusi in modo da bilanciare quelli forti.
La nostra società "democratica" ha all'interno delle sue dinamiche il contrapporsi di due tendenze valoriali : quella egualitaria e quell'altra elitaria che tende a definirsi con la gestione oligarchica del potere. In questo braccio di ferro alla prima la sua forza proviene proprio dal "lavoro", cioè dal suo valore sociale ed economico;alla seconda essa proviene dal suo efficientismo nel creare ricchezza.
Questo è il percorso ideale che ha portato alla formulazione dell'artico 1 della nostra Costituzione.
E' questo il solco che avrebbe dovuto essere preservato in questo che è uno dei momenti più difficili della vita economica di ogni paese,
specie quando i governi sembrano perdere la forza politica necessaria a mettere sotto controllo la situazione e sembrano incapaci di acquistare la consapevolezza necessaria per gestire una inversione di tendenza.
Quello che vedo è forse una incapacità di affrontare una grande sfida, tentando di fuggire all'indietro anzicchè guardare avanti, attingendo dalla grande narrazione del passato con i suoi assetti di civiltà in cui sono fioriti dei valori divenuti criteri di valutazione preminenti della realtà sociale.
Per tuttto ciò occorrerebbe il coraggio di correggere il grave squilibrio indotto da quel potente meccanismo di dominio e di trasformazione che è regolato dal semplice principio dell'egoismo "privato"; quello che spinge al massimo arricchimento dei singoli.
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