Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

venerdì 28 ottobre 2011

LA SOCIETA' DEI CONSUMI

Le cronache di oggi riportano la incredibile vicenda, dato il momento di crisi della quale non si possono prevedere gli sbocchi, che ha visto tristemente  protagoniste  migliaia di persone in uno spettacolo che potrebbe rappresentare la ricerca di cibo a seguito dello scarseggiare delle scorte di generi alimentari, oppure l'affannoso tentativo di recuperare i propri risparmi da una banca in pre-fallimento.

Invece no! Una ressa , sin dalle primissime ore del giorno di fronte ad un mega store, per dare sfogo ad un bisogno compulsivo, da perfetti consumatori drogati dalle pubblicità e quali interpreti di uno dei  nuovi  paradigmi esistenziali: Il possesso dei feticci della modernità .


E' proprio vero! In tutti noi si sono verificate delle vere e proprie trasformazioni antropologiche  ed il nostro immaginario collettivo è dominato e regolato  ( come ho già avuto modo di dire )dalle tre nuove verità della modernità :
Il marketing
I mas media
Il consumismo
Allucinante ma vero.

giovedì 27 ottobre 2011

INDIRIZZO POLITICO E SOCIETA' AMERICANA

Gli errori di Obama

Di Ferruccio de Bortoli

Direttore de Il Corriere della Sera.

“Obama ha sbagliato ripetutamente i tempi dell’economia e della politica americana, introducendo riforme inadatte a un Paese dalla crescita bloccata. Mentre la fine di Bin Laden e Gheddafi non ha portato reali benefici al presidente, perché nel frattempo la lotta al terrorismo non era più al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica Usa”. Il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, sintetizza così gli errori commessi nei suoi primi tre anni di mandato dal leader democratico.

I risultati di Obama contro terroristi come Bin Laden e dittatori come Gheddafi sono stati l’effetto della fortuna, o la conseguenza della sua politica in Medio Oriente?

L’effetto dell’uccisione di Bin Laden sulla popolarità di Obama è stato momentaneo e si è subito dissolto, dando l’impressione che la guerra al terrorismo facesse ormai parte del passato del Paese. Non a caso durante il decennale dell’11 settembre gli Stati Uniti hanno archiviato una lunghissima stagione di insicurezza, cui oggi sono subentrate nuove preoccupazioni. E’ dagli anni Trenta che negli Stati Uniti non accadeva che l’occupazione non crescesse per un periodo così lungo. Se nei primi anni del nuovo millennio la lotta al terrorismo era in grado di focalizzare l’attenzione degli americani, ora sono la mancanza di lavoro e la riduzione dei redditi a essere in primo piano. Inoltre contro Gheddafi gli Usa hanno condotto per la prima volta una guerra di retrovia, cedendo la prima fila a inglesi e francesi. Ancora una volta quindi Obama non ha tratto reali benefici della scomparsa di quello che dai precedenti presidenti americani era ritenuto uno dei peggiori dittatori al mondo. Il leader democratico di fatto è arrivato quando la lotta al terrorismo era già stata conclusa, e tutto ciò che ha potuto compiere è stato mettervi il sigillo finale con la cattura e l’uccisione di Bin Laden. Ben più significativo il calo dei consensi subito da Obama per la grave crisi economica, che si è protratta troppo a lungo rispetto a quella che è stata la regolarità dei cicli di crescita e recessione negli Usa. Nel frattempo il debito americano è cresciuto, pesando in larga parte sulle casse della Federal Reserve e raggiungendo un livello che rende la superpotenza Usa molto vulnerabile.

Nei confronti della Cina, gli Usa di Obama sono più deboli di quelli di Bush. Quali sono le responsabilità dell’attuale presidente?

La responsabilità non è di Obama, ma il cambiamento in atto ha una grande portata storica. Da questo punto di vista l’evento più significativo degli ultimi tempi è stato quando il presidente della Cina, Hu Jintao, ha rimproverato agli Stati Uniti di non fare abbastanza per rimettere in ordine i bilanci federali. In quanto Paese creditore, Pechino si è sentito autorizzato a imporre una sorta di disciplina al principale debitore, cioè agli Usa. Ciò ha rappresentato un cambiamento fortissimo di paradigma, con il pendolo dell’economia e della politica mondiale che si è avvicinato a Pechino lasciando New York sullo sfondo. La presidenza di Obama era iniziata ipotizzando una sorta di G2, con America e Cina affiancate nella guida delle sorti mondiali. Ma ben presto la superpotenza Usa si è ritrovata per la prima volta in una situazione di sudditanza nei confronti della forza economica della Cina.

I titoli di Stato americani finora non sono stati presi di mira come quelli di molti Paesi europei, ma gli Usa sono stati declassati da Standard & Poor’s. Come valuta la politica economica di Obama?

Innanzitutto è stata una politica economica che ha mostrato subito una sostanziale debolezza, che è stata quella di non affermare fin da subito la supremazia di Main Street rispetto a Wall Street, cioè degli interessi di piccole imprese e lavoratori contro quelli della grande finanza. Obama era stato eletto perché il popolo americano, nella patria del diritto e delle regole di mercato, avvertiva come una profonda ingiustizia l’eccessivo potere delle banche d’affari di Wall Street. Il presidente democratico è partito bene, ma la riforma da lui annunciata di fatto si è fermata a metà. Tanto è vero che oggi ci troviamo nel mezzo di una nuova crisi finanziaria, e questo dimostra che non sono stati risolti i problemi emersi fin dal 2007, e che pure avevano portato a un cambiamento delle regole da parte dell’amministrazione Obama.

La riforma della sanità ha fatto molto discutere negli Usa. Lei ritiene che abbia prodotto effetti positivi?

E’ stata una riforma molto coraggiosa, ma avrebbe potuto avere un maggiore successo in una fase di espansione dell’economia. Oggi i suoi effetti pratici sono ancora tutti da dimostrare. La riforma della sanità infatti è un tema estremamente delicato, perché porta ad accumulare un debito rilevante e ha costi per certi versi sproporzionati. D’altra parte risponde a un’esigenza di equità, estendendo l’assicurazione sanitaria alle fasce più deboli. Ma occorre tenere conto del fatto che quella americana è una società nella quale c’è una competitività molto forte, e il ceto medio avverte con una certa irritazione il fatto che ci siano persone che ottengono qualcosa dallo Stato senza meritarlo. In conclusione, Obama assomiglia molto a George Bush padre, che da una parte aveva concluso la prima guerra del Golfo, ma dall’altra aveva sbagliato i tempi dell’economia e della politica americana. In una fase in cui l’America non cresce più come un tempo, è giocoforza però che anche i tempi della politica siano scanditi dall’economia e non invece dalle grandi questioni internazionali.

Una leadership culturale

Di Gad Lerner

Conduttore de L'Infedele e editorialista de La Repubblica

“Il presidente Obama ha avuto un grande merito: fin dal giugno 2009, nel discorso all’università Al-Azhar de Il Cairo, ha proposto un dialogo con il mondo arabo e islamico nel nome del valore comune della democrazia. E questa presa di posizione ha avuto un ruolo non indifferente nella caduta di dittatori come Gheddafi”. Gad Lerner, conduttore de L’Infedele ed editorialista de La Repubblica, prende spunto da questo aspetto positivo per commentare i tre anni di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti. Il leader democratico, eletto il 4 novembre 2008 da 63,5 milioni di cittadini, è stato subito visto come la personificazione del sogno americano in un momento di grandi difficoltà. Per Gad Lerner, “Obama ha dovuto affrontare la fase calante del ruolo della superpotenza americana nel mondo e un indebolimento della politica in quanto tale nei confronti dei poteri economici. Ma il presidente ha cercato di rispondere a questi problemi sostituendo una rinnovata leadership culturale, progettualità e collaborazione a quella che in passato era la superiorità schiacciante da parte degli Stati Uniti”.

I risultati di Obama contro terroristi come Bin Laden e dittatori come Gheddafi sono stati l’effetto della fortuna, o la conseguenza della sua politica in Medio Oriente?

In primo luogo, ritengo che l’evento dell’uccisione di Osama Bin Laden sia un fatto a sé stante, perché appartiene soprattutto all’attività dei servizi segreti e delle forze speciali dell’Esercito americano. Ben più significative sono state invece le scelte di politica estera adottate da Barack Obama, inaugurate con il discorso all’università Al-Azhar de Il Cairo del giugno 2009. In quella occasione il presidente Usa ha avuto il coraggio di proporre un dialogo al mondo arabo e islamico nel nome del comune valore della democrazia. Questa presa di posizione da parte di Obama ha favorito le sue scelte successive, che sono andate nella direzione di non sostenere i dittatori arabi quando sono scoppiate le rivolte popolari contro di loro. Nel contesto generale di questo grande sovvertimento e della caduta dei tiranni che per decenni hanno spadroneggiato in tutto il mondo arabo, l’atteggiamento di Obama è stato quindi importante. Lo dimostra anche il ritiro dell’ambasciatore statunitense da Damasco, avvenuto oggi (martedì, Ndr) per protestare contro la repressione del presidente siriano Bashar Assad. Osservo inoltre che se i rapporti di Obama con Israele sono stati difficili e complicati, il motivo è che il governo di Benjamin Netanyahu sta conducendo una politica isolazionista e di destra. E’ comprensibile quindi che Obama, proprio nel quadro complessivo della Primavera araba, non possa condividere le recenti posizioni israeliane.

Nei confronti della Cina, gli Usa di Obama sono più deboli di quelli di Bush. Quali sono le responsabilità dell’attuale presidente?

La tendenza in corso non dipende né da Obama né da Bush. La crescita della potenza cinese è qualcosa di strutturale, un ciclo storico che si sta consolidando e va al di là delle congiunture dei più brevi cicli politici. E’ inevitabile che oggi gli Stati Uniti siano più deboli nella relazione con la Cina di quanto non lo fossero dieci o venti anni fa. Più in generale, quella condotta finora da Obama è stata in larga parte una politica estera che definirei “necessitata”, nel senso che non aveva molte alternative. Il presidente è consapevole del fatto che il peso, l’influenza e il potere degli Stati Uniti nel mondo si stanno ridimensionando molto in fretta. Obama sta gestendo con fatica questa fase calante, cercando di sostituire una rinnovata leadership culturale, progettualità e collaborazione a quella che in passato era la superiorità schiacciante da parte degli Stati Uniti sul piano tecnologico, militare ed economico.

I titoli di Stato americani finora non sono stati presi di mira come quelli di molti Paesi europei, ma gli Usa sono stati declassati da Standard & Poor’s. Come valuta la politica economica di Obama?

Anch’essa è figlia della debolezza in qualche modo insuperabile della politica. Obama non ha osato sfidare il potere finanziario di Wall Street, nonostante la sua vittoria contraria ai pronostici fosse dovuta proprio alla ripulsa dell’opinione pubblica americana nei confronti dei grandi poteri finanziari. Non a caso Obama è stato eletto nel pieno della recessione del 2008, che ha distrutto le chance del suo avversario repubblicano, John McCain. Eppure il presidente Usa ha ritenuto di non avere la forza per sfidare il blocco del potere finanziario di Wall Street. Oggi ne paga le conseguenze, anche se dubito che avesse delle reali alternative. La politica oggi è più debole e la percezione che tutte le opinioni pubbliche mondiali hanno dei governi è quella di una fragilità se non di una irrilevanza nel confronto con i poteri economici e finanziari.

La riforma della sanità ha fatto molto discutere negli Usa. Lei ritiene che abbia prodotto effetti positivi?

E’ stato un progetto di portata storica, ma nello stesso tempo appunto molto fragile. Tanto è vero che è già stato rimesso in discussione e boicottato in molti degli Stati americani. Del resto la fragilità è l’orizzonte di fondo della politica di Obama, e quindi la realizzabilità pratica della riforma della sanità si scontra con la fragilità politica del presidente.

                                                              °°°O°°°



Interessante il confronto e l'analisi sugli esiti di una leadership culturale ed il suo controaltare delle decisioni  di indirizzo politico.
Data l'autorevolezza  del testo ..nessun commento ulteriore.. almeno da parte mia...sarebbe banale.

martedì 25 ottobre 2011

LIBERTA' DEI MODERNI


Riflettendo sul concetto filosofico di "libertà dei moderni", che trova la sua esplicitazione  nel nesso tra "Politica" e "realtà sociale",non posso fare a meno di soffermarmi  sul concetto di conflitto di cui è portatrice proprio quest'ultima.
Concetto analizzato  da Platone ad Aristotele ; da Macchiavelli ad Hobbes ; da Rousseau ad Hegel, fino a Saint Simon con la sua visione dell'Età del'Oro e della perfezione dell'Ordine Sociale.
Ma queste sono analisi filosofiche  con un finale utopistico.

Per tornare alla nostra"libertà dei moderni" si può dire sicuramente che essa è figlia del pensiero Cristiano prima   e del pensiero Liberale poi, che hanno portato l'uomo al centro della storia, con la sua individualità e la sua dignità.
E' su questa dimensione che è stato costruito il paradigma della "Modernizzazione" quale cornice di un "liberismo sociale"  basato sulla valorizzazione e tutela della persona  in quanto individuo e del suo protagonismo nella società.
Nulla può smentire il fatto che tale dottrina portava  con se la deresponsabilizzazione indotta dal prevalere degli interessi individuali  che non possono o non vogliono, proprio perchè elemento egoistico, cedere il passo all'interesse generale.
A cosa ha portato tutto questo ?
Certamente ad una crisi che mette drammaticamente in luce le conseguenze di quel libero protagonismo  nei gruppi di potere , specie finanziario, che hanno cavalcato una deregulation selvaggia che ha avuto come obiettivo il profitto fine a se e senza alcun limite che non oltrepassasse la decenza.

Nella indignata manifestazione di quel 99 per cento  nella Piazza Finanziaria americana stà il senso vero di ciò che sta accadendo e di ciò che va oltre il mero aspetto finanziario o la coreografia della piazza.
E' quell'uno per cento che viene messo sotto accusa in quanto minoranza che riesce a determinare , con la complicità della politica, il disorientamento generale per la perdita di determinati punti fermi nella vita quotidiana e lo smarrimento di una qualsiasi prospettiva nel proprio orizzonte di vita; quell'uno per cento che pretende e riesce ad  uscire immune dal disastro che esso stesso ha provocato; quell'uno per cento  costituito
da persone che si sono arricchite saccheggiando la ricchezza di tutti  ed annientando le economie nazionali  e di conseguenza quella globale.
Sarà forse auspicabile un ritorno alle antiche virtù della borghesia produttiva, per la quale la ricchezza era anche fonte di doveri : verso la propria dimensione ma anche verso la dimensione sociale.
Sarà difficile ricostruire un contesto di relazioni sociali, culturali ed etiche con dei poteri leggittimati perchè moralmente autorevoli.


Occorrerà inoltre che nuovi germogli  evolvano in una
maturazione politico-culturale che rompa quel perverso non confine tra pubblico e privato  che ha consentito il disastro incombente e riconduca ad una più corretto e consapevole governo della cosa pubblica.

domenica 16 ottobre 2011

DEMOCRAZIA NEGATA

Ho riportato, in altri post, delle riflessioni e delle analisi sociologiche e filosofiche sulle trasformazioni delle società che la modernità ha reso attrici nel mondo globale.
Un cammino caratterizzato da vere e proprie trasformazioni antropologiche , da crisi identitarie e da nuovi paradigmi che sembrava avessero anestetizzato il comune sentire nella definizione di un immaginario aperto al progresso sociale e ad un benessere equilibrato. Sembrava dissolta la capacità di percepire il reale divenire e quella di indignarsi per quanto non giusto.
L' indignazione di fronte alla protervia dei nascenti sistemi oligarchici del tutto indifferenti a qualsivoglia dettame etico nella gestione del potere, dimentichi che esso deriva loro dai meccanismi della democrazia rappresentativa.
L'indignazione,quindi, di fronte alla messa in sordina del principio della rappresentanza politica di fronte all'impiego di tutte le energie per la creazione ed il mantenimento, ad ogni costo, di privilegi disconoscendo le regole dell'eguaglianza dettate dalla nostra Costituzione.
Finalmente qualcosa è successa : l'esplosione della crisi della finanza e del mercato che sta fungendo da detonatore ad una reazione per il crescente disagio sociale,specie nel mondo giovanile e tra le fasce deboli della popolazione.


Il fatto nuovo sta nella differente collocazione di tutte le istanze, inascoltate ed avvilite, della "Polis"attraverso il "Demos" partecipativo.
Essa avoca a se , e sempre meno attraverso i partiti, il diritto ad essere interlocutrice e sollecitatrice nei confronti delle istituzioni autoreferenziali che appaiono sorde alle istanze portate avanti dalla dialetttica delle formazioni politiche,sempre meno rappresentative.
Dopo le piazze,animate dalla cosiddetta "primavera araba"contro la soffocante occupazione dei poteri oligarchici o dittatoriali;quelle greche contro un default di stato che intende far pagare ai cittadini il prezzo di una crisi finanziaria che altri dovrebbero pagare; dopo la Spagna con i suoi "indignados" e per ultimo la "Occupy Wall Street " americana
( momenti topici che si sono manifestati in ben ottanta paesi nel mondo ) anche in Italia il "paese reale", rappresentato da tutte le parti sociali e dai Movimenti,si è mosso per dire la sua manifestando indignazione di fronte ad una classe dirigente che sembra non curarsi del disastro incombente ed a tutt'altro interessata.


Questa "piazza", però, ha subìto un vulnus al volto della protesta, snaturato dalla violenza di gruppi di infiltrati che non ha consentito la evidenza compiuta di una manifestazione collettiva.
Identificare la vera matrice di quelle manifestazioni di guerriglia urbana è molto difficile. Tutto ciò è avvenuto solamente in Italia! Chi ne aveva interesse? Bella domanda!

lunedì 10 ottobre 2011

LE IDEOLOGIE E LE CRISI SISTEMICHE

Uno sguardo alla storia recente consente di riesaminare, sia pur in maniera sintetica,il percorso  sperimentato per la costruzione, poco lucida e definita, di un modello sociale.Si tentò di attuare un compromesso, frutto di una non facile mediazione, fra le esigenze espresse da nuove realtà economico-sociali e riguardanti i molteplici aspetti, decisivi per un armonico e giusto equilibrio sociale : I criteri nella distribuzione del reddito; l'assistenza alle classi meno abbienti, ma anche un uso non egoistico dei beni. In definitiva l'esigenza di uno stato liberale nel quale l'autonomia del potere economico dal potere politico  e la garanzia della libertà dei privati potesse consentire una sintesi  tra Stato sociale e Stato di diritto liberale.
Sappiamo pure che quella illusione , per i motivi sopra accennati,ebbe breve durata e si concluse con la crisi del 29 e con la degenerazione autoritaria e l'avvento del nazismo.
Si son fatti molti parallelismi tra quella crisi e quella attuale, anche se poco validi se non altro per il quadro mondiale attuale.
Un dato di fatto però è che  punti comuni e ripetibili si possono intravedere la dove si esaminino le basi economiche e finanziarie e l'accentuata virulenza della lotta politica.
E' incontrovertibile che le crisi economiche risveglino o accentuino una vera propria lotta tra le classi che compongono la società. Essa si svolge in un modo diverso in relazione alla capacità di ogni regime democratico di governare con equilibrio ed equità una apparente inconciliabilità  originaria tra due valori espressi da due visioni opposte : liberalismo e democrazia; laddove il primo reclama  la libertà individuale
e la seconda reclama l'eguaglianza.; poichè questi sono i significati sociali che sottendono.
Questa dissertazione  serve come preambolo ad una affermazione  concettuale  sulla insopprimibilità della dimensione antropologica dell'uomo e del modo in cui esso intende se stesso in una determinata fase storica rispetto all'organizzazione del corrispondente sistema sociale; una interrelazione quindi, tra l'immaginario sociale e l'egemonia di un modello ( come intuito da Weber).
Nella fase storica attuale si sta costruendo la grande narrazione di una  transizione nel cui ambito si vanno delineando nuovi orizzonti di senso e la progressiva dissoluzione  della catena dei significati sociali precedenti. 
Forse tutto questo comporterà  l'abbandono della tradizione culturale del vecchio continente e del suo pensiero la dove quella tradizione è intrisa di elementi di filosofia sociale, organicistica e finalistica,per le quali l'individuo  in se è parte vitale dell'organismo sociale  e la soggettività è il paradigma normativo della razionalità e dei valori morali.
Ciò significherà che al pensiero moderno, caratterizzato dall'illuminismo  , dal materialismo marxista, dallo storicismo e   weberismo,considerabili quasi varianti moderne di una filosofia ed una etica sociale arcaiche, si  sovrapporrà un illuminismo sociologico ispirato alla teoria sistemica (Luchman), al funzionalismo ( Parson) ed alle scienze angloamericane del comportamento collettivo.
Il comportamento collettivo e la funzione del mercato; l'ideologia liberale, del libero svolgersi della autonomia individuale che teorizza essere portatrice di un giusto ordine sociale.
Laddove, però, il  "mercato" fallisca , come sta accadendo, specie sul piano della teorizzata accessibilità generalizzata alla ricchezza, si potrà prendere coscienza della contraddizione insita  tra l'eguaglianza formale e la diseguaglianza sostanziale. che accumula un deficit non solo sul piano economico  ma anche sul piano di quel significato sociale  istituito dalla modernità.

La parte corrispondente a quel deficit è una cospicua fetta di quel mondo storico sociale, creatrice dei significati sociali e portatrice  di quell'immaginario riguardante, per esempio, la piena occupazione.
Non per caso sembra necessario il ripensamento sulle strategie dello sviluppo, vedasi la "green economy di Obama  o l'attenzione sulle culture amerinde  che stanno cambiando il sud america.

Tutto ciò non fa che confermare quanto la storia delle società, in special modo quelle sviluppate, sia plasmata da importanti  punti di svolta  che hanno costituito  e continuano a costituire  un fattore di discontinuità  economica e di trasformazioni sociali.

sabato 8 ottobre 2011

I NUOVI AUTORITARISMI

Analisi filosofiche e sociologiche sulla modernità compiute nel passato (Tocqueville) prefigurarono l'aspetto negativo delle tendenze che avrebbero costituito una non percepibile minaccia alla libertà nelle società democratiche che la modernità andava definendo ; premonizioni che si vanno appalesando, specie a chi si pone certe domande riferibili alle società democratiche di massa ed al loro conformismo, sia pur in un contesto definito "liberale".

"Vedo chiaramente nell'eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l'altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. 
Se in luogo di tutte  le varie potenze che  impedirono o  ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli
democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere.
Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù...Per me,quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perchè un milione di braccia me lo porge."
( Tocqueville )

Nelle società dove vige il principio della maggioranza, investita dal popolo all'esercizio del diritto ad esercitare il potere di governo, può accadere che  possa configurarsi  il  rischio di una "dittatura della maggioranza"  (espressione molto ricorrente di questi tempi); lo strumento  può essere la capacità forte  di pressione interna che riesce ad addomesticare gli spiriti, senza che essi se ne rendano conto, avvolgendo e plasmando le coscienze in modo utile alla gestione del potere.


Il sistema politico nelle società avanzate industriali ha acquisito una forte capacità di eleborare informazioni oltre che una sostanziale indifferenza nei confronti degli altri sottosistemi sociali,da non prevedere più il consenso,  intendendo per tale una adesione consapevole e  motivata.
Se si esamina la funzione elettiva che istituzionalizza la forma di governo ed il suo indirizzo politico, ci si rende conto che essa  è ormai lontana dalle pretese dell'ideologia liberal-democratica, sia pur nella versione moderna  del neoliberalismo.Certamente  essa  non significa una affermazione della volontà popolare o che determini  una scelta  e designazione alle cariche politiche dei migliori.Realizza soltanto una astrazione ed individualizzazione del ruolo elettorale  senza alcun collegamento con gli altri ambiti della vita sociale.
Si realizza così un meccanismo auto-obbligante ed autoreferenziante che fa si che chi amministra possa avere la supponenza del sostegno politico alle proprie decisioni, vincolanti, anche se da una posizione di indipendenza nei confronti degli interessi specifici dell'elettorato.

Tale supponenza consente di escludere dal processo politico i rappresentanti degli interessi confliggenti , l'assorbimento delle proteste di componenti sociali attraverso la amalgamazione di interessi non antagonistici ed una marginalizzazione del dissenso.

In conclusione, può progredire una società nella quale il punto di vista e gli orizzonti di senso di una maggioranza politica si trasformano in verità inconfutabile e le scelte conseguenziali tengono conto della forza del numero e non del merito ?

Sempre di più le moderne democrazie sembrano non sopportare il dissenso e mirano all'unanimismo ed al compromesso, interferendo nelle vite individuali, decidendo in ogni ambito ciò che è "eticamente" giusto e ciò che è immorale.