Gli errori di Obama

Direttore de Il Corriere della Sera.
“Obama ha sbagliato ripetutamente i tempi dell’economia e della politica americana, introducendo riforme inadatte a un Paese dalla crescita bloccata. Mentre la fine di Bin Laden e Gheddafi non ha portato reali benefici al presidente, perché nel frattempo la lotta al terrorismo non era più al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica Usa”. Il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, sintetizza così gli errori commessi nei suoi primi tre anni di mandato dal leader democratico.
I risultati di Obama contro terroristi come Bin Laden e dittatori come Gheddafi sono stati l’effetto della fortuna, o la conseguenza della sua politica in Medio Oriente?
L’effetto dell’uccisione di Bin Laden sulla popolarità di Obama è stato momentaneo e si è subito dissolto, dando l’impressione che la guerra al terrorismo facesse ormai parte del passato del Paese. Non a caso durante il decennale dell’11 settembre gli Stati Uniti hanno archiviato una lunghissima stagione di insicurezza, cui oggi sono subentrate nuove preoccupazioni. E’ dagli anni Trenta che negli Stati Uniti non accadeva che l’occupazione non crescesse per un periodo così lungo. Se nei primi anni del nuovo millennio la lotta al terrorismo era in grado di focalizzare l’attenzione degli americani, ora sono la mancanza di lavoro e la riduzione dei redditi a essere in primo piano. Inoltre contro Gheddafi gli Usa hanno condotto per la prima volta una guerra di retrovia, cedendo la prima fila a inglesi e francesi. Ancora una volta quindi Obama non ha tratto reali benefici della scomparsa di quello che dai precedenti presidenti americani era ritenuto uno dei peggiori dittatori al mondo. Il leader democratico di fatto è arrivato quando la lotta al terrorismo era già stata conclusa, e tutto ciò che ha potuto compiere è stato mettervi il sigillo finale con la cattura e l’uccisione di Bin Laden. Ben più significativo il calo dei consensi subito da Obama per la grave crisi economica, che si è protratta troppo a lungo rispetto a quella che è stata la regolarità dei cicli di crescita e recessione negli Usa. Nel frattempo il debito americano è cresciuto, pesando in larga parte sulle casse della Federal Reserve e raggiungendo un livello che rende la superpotenza Usa molto vulnerabile.
Nei confronti della Cina, gli Usa di Obama sono più deboli di quelli di Bush. Quali sono le responsabilità dell’attuale presidente?
La responsabilità non è di Obama, ma il cambiamento in atto ha una grande portata storica. Da questo punto di vista l’evento più significativo degli ultimi tempi è stato quando il presidente della Cina, Hu Jintao, ha rimproverato agli Stati Uniti di non fare abbastanza per rimettere in ordine i bilanci federali. In quanto Paese creditore, Pechino si è sentito autorizzato a imporre una sorta di disciplina al principale debitore, cioè agli Usa. Ciò ha rappresentato un cambiamento fortissimo di paradigma, con il pendolo dell’economia e della politica mondiale che si è avvicinato a Pechino lasciando New York sullo sfondo. La presidenza di Obama era iniziata ipotizzando una sorta di G2, con America e Cina affiancate nella guida delle sorti mondiali. Ma ben presto la superpotenza Usa si è ritrovata per la prima volta in una situazione di sudditanza nei confronti della forza economica della Cina.
I titoli di Stato americani finora non sono stati presi di mira come quelli di molti Paesi europei, ma gli Usa sono stati declassati da Standard & Poor’s. Come valuta la politica economica di Obama?
Innanzitutto è stata una politica economica che ha mostrato subito una sostanziale debolezza, che è stata quella di non affermare fin da subito la supremazia di Main Street rispetto a Wall Street, cioè degli interessi di piccole imprese e lavoratori contro quelli della grande finanza. Obama era stato eletto perché il popolo americano, nella patria del diritto e delle regole di mercato, avvertiva come una profonda ingiustizia l’eccessivo potere delle banche d’affari di Wall Street. Il presidente democratico è partito bene, ma la riforma da lui annunciata di fatto si è fermata a metà. Tanto è vero che oggi ci troviamo nel mezzo di una nuova crisi finanziaria, e questo dimostra che non sono stati risolti i problemi emersi fin dal 2007, e che pure avevano portato a un cambiamento delle regole da parte dell’amministrazione Obama.
La riforma della sanità ha fatto molto discutere negli Usa. Lei ritiene che abbia prodotto effetti positivi?
E’ stata una riforma molto coraggiosa, ma avrebbe potuto avere un maggiore successo in una fase di espansione dell’economia. Oggi i suoi effetti pratici sono ancora tutti da dimostrare. La riforma della sanità infatti è un tema estremamente delicato, perché porta ad accumulare un debito rilevante e ha costi per certi versi sproporzionati. D’altra parte risponde a un’esigenza di equità, estendendo l’assicurazione sanitaria alle fasce più deboli. Ma occorre tenere conto del fatto che quella americana è una società nella quale c’è una competitività molto forte, e il ceto medio avverte con una certa irritazione il fatto che ci siano persone che ottengono qualcosa dallo Stato senza meritarlo. In conclusione, Obama assomiglia molto a George Bush padre, che da una parte aveva concluso la prima guerra del Golfo, ma dall’altra aveva sbagliato i tempi dell’economia e della politica americana. In una fase in cui l’America non cresce più come un tempo, è giocoforza però che anche i tempi della politica siano scanditi dall’economia e non invece dalle grandi questioni internazionali.
Una leadership culturale

Conduttore de L'Infedele e editorialista de La Repubblica
“Il presidente Obama ha avuto un grande merito: fin dal giugno 2009, nel discorso all’università Al-Azhar de Il Cairo, ha proposto un dialogo con il mondo arabo e islamico nel nome del valore comune della democrazia. E questa presa di posizione ha avuto un ruolo non indifferente nella caduta di dittatori come Gheddafi”. Gad Lerner, conduttore de L’Infedele ed editorialista de La Repubblica, prende spunto da questo aspetto positivo per commentare i tre anni di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti. Il leader democratico, eletto il 4 novembre 2008 da 63,5 milioni di cittadini, è stato subito visto come la personificazione del sogno americano in un momento di grandi difficoltà. Per Gad Lerner, “Obama ha dovuto affrontare la fase calante del ruolo della superpotenza americana nel mondo e un indebolimento della politica in quanto tale nei confronti dei poteri economici. Ma il presidente ha cercato di rispondere a questi problemi sostituendo una rinnovata leadership culturale, progettualità e collaborazione a quella che in passato era la superiorità schiacciante da parte degli Stati Uniti”.
I risultati di Obama contro terroristi come Bin Laden e dittatori come Gheddafi sono stati l’effetto della fortuna, o la conseguenza della sua politica in Medio Oriente?
In primo luogo, ritengo che l’evento dell’uccisione di Osama Bin Laden sia un fatto a sé stante, perché appartiene soprattutto all’attività dei servizi segreti e delle forze speciali dell’Esercito americano. Ben più significative sono state invece le scelte di politica estera adottate da Barack Obama, inaugurate con il discorso all’università Al-Azhar de Il Cairo del giugno 2009. In quella occasione il presidente Usa ha avuto il coraggio di proporre un dialogo al mondo arabo e islamico nel nome del comune valore della democrazia. Questa presa di posizione da parte di Obama ha favorito le sue scelte successive, che sono andate nella direzione di non sostenere i dittatori arabi quando sono scoppiate le rivolte popolari contro di loro. Nel contesto generale di questo grande sovvertimento e della caduta dei tiranni che per decenni hanno spadroneggiato in tutto il mondo arabo, l’atteggiamento di Obama è stato quindi importante. Lo dimostra anche il ritiro dell’ambasciatore statunitense da Damasco, avvenuto oggi (martedì, Ndr) per protestare contro la repressione del presidente siriano Bashar Assad. Osservo inoltre che se i rapporti di Obama con Israele sono stati difficili e complicati, il motivo è che il governo di Benjamin Netanyahu sta conducendo una politica isolazionista e di destra. E’ comprensibile quindi che Obama, proprio nel quadro complessivo della Primavera araba, non possa condividere le recenti posizioni israeliane.
Nei confronti della Cina, gli Usa di Obama sono più deboli di quelli di Bush. Quali sono le responsabilità dell’attuale presidente?
La tendenza in corso non dipende né da Obama né da Bush. La crescita della potenza cinese è qualcosa di strutturale, un ciclo storico che si sta consolidando e va al di là delle congiunture dei più brevi cicli politici. E’ inevitabile che oggi gli Stati Uniti siano più deboli nella relazione con la Cina di quanto non lo fossero dieci o venti anni fa. Più in generale, quella condotta finora da Obama è stata in larga parte una politica estera che definirei “necessitata”, nel senso che non aveva molte alternative. Il presidente è consapevole del fatto che il peso, l’influenza e il potere degli Stati Uniti nel mondo si stanno ridimensionando molto in fretta. Obama sta gestendo con fatica questa fase calante, cercando di sostituire una rinnovata leadership culturale, progettualità e collaborazione a quella che in passato era la superiorità schiacciante da parte degli Stati Uniti sul piano tecnologico, militare ed economico.
I titoli di Stato americani finora non sono stati presi di mira come quelli di molti Paesi europei, ma gli Usa sono stati declassati da Standard & Poor’s. Come valuta la politica economica di Obama?
Anch’essa è figlia della debolezza in qualche modo insuperabile della politica. Obama non ha osato sfidare il potere finanziario di Wall Street, nonostante la sua vittoria contraria ai pronostici fosse dovuta proprio alla ripulsa dell’opinione pubblica americana nei confronti dei grandi poteri finanziari. Non a caso Obama è stato eletto nel pieno della recessione del 2008, che ha distrutto le chance del suo avversario repubblicano, John McCain. Eppure il presidente Usa ha ritenuto di non avere la forza per sfidare il blocco del potere finanziario di Wall Street. Oggi ne paga le conseguenze, anche se dubito che avesse delle reali alternative. La politica oggi è più debole e la percezione che tutte le opinioni pubbliche mondiali hanno dei governi è quella di una fragilità se non di una irrilevanza nel confronto con i poteri economici e finanziari.
La riforma della sanità ha fatto molto discutere negli Usa. Lei ritiene che abbia prodotto effetti positivi?
E’ stato un progetto di portata storica, ma nello stesso tempo appunto molto fragile. Tanto è vero che è già stato rimesso in discussione e boicottato in molti degli Stati americani. Del resto la fragilità è l’orizzonte di fondo della politica di Obama, e quindi la realizzabilità pratica della riforma della sanità si scontra con la fragilità politica del presidente.
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Interessante il confronto e l'analisi sugli esiti di una leadership culturale ed il suo controaltare delle decisioni di indirizzo politico.
Data l'autorevolezza del testo ..nessun commento ulteriore.. almeno da parte mia...sarebbe banale.
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