Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

sabato 17 marzo 2012

LE CRISI DELLA MODERNITA'

E' proprio così! Ci ritroviamo a vivere in una realtà che pare abbia perduto le sue abituali coordinate; quelle che hanno accompagnato l'ultimo secolo del secondo millennio, carico di energie e di slanci in avanti e nel quale i sistemi politici, riuscendo a infiltrare le coscienze ed a conquistare la capacità di credere di tante moltitudini,hanno progettato e realizzato mutamenti radicali anche negli stili di vita.


Tutti gli ambiti del pensiero politico moderno pare abbiano esaurito quelle fasi di risveglio e di ricerca di orientamento con un coinvolgimento di singoli e di comunità in una nuova interpretazione di idee, valori, comportamenti di culture diverse anche per collocazione geografica.

A ben vedere ci lasciamo alle spalle un lungo periodo di crescita sostenuta e di profonde trasformazioni che hannno avuto come pendant una forte instabilità economica ed un vero e proprio scontro di sistemi.
In definitiva una ciclicità di fluttuazioni nella produzione e nella occupazione in un susseguirsi di crisi reali e finanziarie che appare evidente siano connaturate al modo di operare delle economie moderne.
In esse lo Stato deve essere sempre meno presente in quelli che,in passato,sono stati gli aspetti legittimanti del suo ruolo sul piano economico e della sua azione sociale: la piena occupazione, la concorrenza tra imprese,l'equilibrio della bilancia dei pagamenti e quant'altro, rivolti alla crescita, al contrasto delle posizioni dominanti ed infine alla efficienza; una sconfitta del liberismo in economia...trasformatasi, nel tempo,in una sua definitiva vittoria.


Questo sistema ha visto sua alleata la crescita della finanza internazionale assieme allo spessore ed alla integrazione del mercato mondiale dei capitali quali riflesso di una espansione delle attività bancarie e dei mercati mobiliari all'interno stesso delle maggiori economie.
L'effetto delle tendenze alla globalizzazione e finanziarizzazione lo si potrebbe misurare dal raffronto tra il valore dei vari cespiti monetari( banconote, titoli e crediti) ed il valore del capitale fisico (impianti, infrastrutture etc.).


Un sistema che vince una battaglia epocale ma che pur offrendo grandi opportunità alla intraprendenza degli individui ed erodendo (in teoria) le barriere alla mobilità sociale, non è capace di ridurre le disegualianze ed anzi le concentra in un problema distributivo e di pauperismo.

Questa fase (tale la voglio considerare) si presenta ai nostri occhi con una cruciale contraddizione non risolta : "se, entro quali limiti e se sia possibile far esprimere la capacità di efficienza e di sviluppo della libera iniziativa e del mercato in un sistema economico fondato sul profitto,conciliando tutto ciò con una distribuzione del reddito meno diseguale".

sabato 10 marzo 2012

LE SPINTE MOTIVAZIONALI

Mi son chiesto se una certa pigrizia mentale, che riguarda la maggioranza di noi,stia lasciando passare inosservata una cesura che, alla fine,si rivelerà epocale e che inciderà in maniera profonda senza che ci si sia misurati con la formulazione di un giudizio prognostico.


Quella attuale è una semplice crisi ciclica o la fine di una intera epoca? Una domanda che appare pertinente se si pone l'attenzione sullo scenario nazionale ed internazionale degli ultimi anni; si può convenire che sia l'Italia che l'Europa, specie quella comunitaria, stiano realizzando un profondo mutamento nei propri assetti economici e sociali e stiano dando vita ad una nuova ed imprevedibile epoca che deve nascere dalle ceneri degli entusiasmi ricostruttivi post bellici e dalla condivisibilità della voglia di sviluppo e benessere collettivo.
Ciò che questa cesura mostrerà dipende dall'esito di quel conflitto innescato da chi pone al centro del comportamento umano la soddisfazione di bisogni e la tutela di interessi, di cui ciascuno è portatore, incardinati però in una visione dei meccanismi necessari all'economia volti all'arricchimento a tutti i costi e senza alcun riguardo ai bisogni ed agli interessi degli altri.

Il lessico attuale sta ancora ruotando attorno alle classiche categorie di pensiero ottocentesco e primo novecentesco del "liberalismo" del "socialismo" del "mercato" e del "welfare" ed infine del "parlamentarismo" e della "democrazia".
Ma io credo che il lessico dovrebbe cambiare radicalmente ed andare ben oltre quelle categorie posto che le dinamiche che si stanno innescando lo hanno già nei fatti cambiato.
Perchè non cimentarsi in una realistica definizione e periodizzazione dello stato attuale con le sue asimmetrie.che disaggregano sul piano cronologico le esperienze e le conquiste sociali che si pensava fossero irreversibili ed irrinunciabili e che
anzi dovessero servire per colmare di nuove aspettative e di nuovi orizzonti di senso quel contenitore vuoto che è il nostro futuro.


Quella che si profila invece è una diversa ed articolata visione del mondo nella quale :conoscenze scientifiche, tecnologie e strutture economiche efficienti,volte alla massimizzazione della produttività del lavoro,hanno smarrito la loro originaria funzione di strumento di progresso avente come destinatario finale l'uomo con i suoi bisogni e che appaiono, invece, rivolte al suo progressivo annichilimento.
Una visione a monte della quale si accampa quel compiuto processo di disincanto definito da M.Weber come regolatore della vita sociale,nella quale l'idea del "giusto" del "buono" e del "vero" non è più il fondamento di una progettazione finalistica ad essa collegata.
Quella che si intravede è una vita sociale intrappolata in un tempo indefinito dal punto di vista cronologico (proprio a causa di quella cesura) ma senza più visioni ne valori ed inclusa in uno spazio quantitativo e trasformata in elemento oggettivo di una esistenza deteriorata e non libertaria : "Trasformati in macchine viventi che non vivono ma sono vissute, che non pensano ma sono pensate",mosse da forze anonime che sono dentro e fuori di esse.
Uno spazio dentro il quale i valori ( e da un altro punto di vista i disvalori) che ispirano quella visione nei suoi comportamenti economici altro non sono che desideri che, nell'aspetto motivazionale, non possono essere definiti "bisogni" ma desiderio di arricchimento a qualsiasi costo ed a discapito degli altri ma nobilitato come "missione".



Fin quì lo sfogo, chiamiamolo pure, di filosofia spicciola come può essere quella di un comune cittadino che vorrebbe andare "dentro " a quanto sta maturando in questo momento.
Tralasciando, per il momento, quello che il panorama globale offre ad una analisi macro, mi sento di fare un passo "oltre", focalizzando l'attenzione e la ricerca di risposte sulla situazione italiana; alla politica in generale ed ai partiti in particolare che mi appaiono, senza offesa, i grandi professionisti dell'opera dei pupi.


Non ci vuole molto per rendersi conto che quella di fronte alla quale il paese assiste disorientato e sfiduciato è la vendita di un prodotto: l'interesse del Paese Italia imbellettato di "bene comune" di fronte al quale i partiti hanno fatto il grande e generoso "passo indietro".
Argomentazioni queste che malamente mascherano una evidente ed astuta tattica del tirarsi fuori dal dover o saper prendere delle decisioni difficili , potendone così attribuire la responsabilità ai non politici di partito e cioè ai "tecnici di necessità" e rimanendo nel contempo,in un versante, paladini di interessi particolari da tutelare e da difendere, e nell'altro, compartecipi responsabili di una rinuncia che maschera una incapacità di formulare una iniziativa politica e programmatica alternativa ed efficace.

martedì 6 marzo 2012

LE LIBERTA'

Benjamin Constant affermava che la “Libertà” consistesse nella partecipazione attiva e costante alle decisioni che investono la sfera pubblica, cioè il potere sociale di tutti i cittadini di una medesima patria. Questo era il“fine “ insito in quel concetto nella “POLIS” greca.
La definiva come “libertà degli antichi” : Una gestione collettiva della sovranità che assoggettava alla comunità l’individuo e le sue attività private. Senza alcuna distinzione nel pubblico.

Un modo di partecipare alla sovranità nazionale divenuto oggi una vana e vuota astrazione.
Ma noi le definiamo,come nell'analisi Constantiana ,“le libertà dei moderni”.
Un concetto composito, nel quale le libertà si articolano nell’aspetto negativo (libertà dallo Stato) e positivo (libertà nello Stato) oltre a quelle nelle formazioni sociali; così dicono i testi di eminenti costituzionalisti.

Ma se il concetto di libertà presuppone una relazione con una entità altra che è anche lo Stato, questa relazione si può manifestare in una pretesa nei confronti di pubblici poteri, quando questi tengono un comportamento omissivo o sordo alle istanze.
Questo fa parte di quelli che vengono definiti “ i diritti sociali”,che completano il quadro delle libertà che prima citavo e che alla pretesa verso un comportamento omissivo,accompagnano anche il diritto ad un comportamento attivo e cioè l’effettiva partecipazione dei singoli o di essi nelle formazioni sociali ai processi mediante i quali si definiscono le scelte di carattere economico e sociale che possono riguardare una determinata entità territoriale.

Se è vero che l'ascolto dei cittadini e delle comunità è parte integrante dello sviluppo di un territorio,bisognerebbe chiedersi con onestà intellettuale quanto sia stato realmente messo in campo di quei processi che consentono di esplicare l'intelligenza collettiva come parte integrante dei quadri di conoscenza;quadri necessari per una gestione realmente partecipata di taluni progetti la cui ricaduta sociale, culturale ed ambientale è tutta da dimostrare; per non parlare poi di quella economica, già ampiamente contestata.

Ora bisogna pur porre l’accento sul significato di territorio e di collettività stanziale, viste nel loro significato antropologico ed economico, poiché non v’è dubbio che un territorio costituisca il centro di riferimento degli interessi della comunità che in esso trova la sua localizzazione e che questi interessi facciano riferimento ad una specifica vocazione economica ed a delle tendenziali linee di sviluppo che possono anche essere intese come di sviluppo sostenibile.
Tutti sappiamo che tra i diritti sociali vi è anche quello alla integrità e salubrità dell’ambiente e che la Costituzione, con una norma specifica ,tutela;
il paesaggio ed il patrimonio (intendendo in tutto questo : Natura , Storia ed Arte.

Son partito dalla Polis greca per giungere alla Valle di Susa; un bel viaggio nel tempo e nello spazio!

Come c’entra la “politica” in tutto questo ? Leggevo che nella patria delle libertà la “Demarche grand chantier”, divenuta norma , prevede che , fin dai preliminari di qualsiasi grande opera ,le risorse imprenditoriali e di lavoro impiegate siano quelle delle comunità locali ed una “enquete publique” ( consultazione pubblica sul progetto) coinvolga “ab initio” le realtà locali , politiche e non ,per ottenerne informazioni pareri ed alla fine consenso. Non mi pare poco.Ma è forse soltanto questione o di sensibilità o di intelligenza politica.

sabato 3 marzo 2012

DEMOCRAZIA ED INDIVIDUALISMO

E' parte del nostro bagaglio di cultura storica che fu merito della
socialdemocrazia tedesca a premere a che il conservatorismo bismarchiano impegnasse lo Stato,il capitalismo imprenditoriale e le forze del lavoro alla prima esperienza di "solidarismo".
Quello fu l'abbozzo,o meglio, la prima pietra di uno Stato sociale e l'attuazione delle sue prime politiche realizzate in seguito, attraverso diversi sistemi di governo nel mondo occidentale(da quello marxista-leninista a quello del periodo fascista per giungere al modello inglese).


Le ricadute di quelle politiche sicuramente furono la spinta per una maggiore propensione ai consumi ed,in egual misura, alla spesa privata e pubblica.
Da lì credo sia stato dato l'avvio alla creazione del debito pubblico,alla sua crescita, fino a perderne il controllo negli anni settanta del secolo scorso.
Molti ritengono che sia stato quello il momento in cui ha preso l'avvio la crisi del compromesso tra capitalismo e democrazia affermatosi in Europa dopo il secondo conflitto mondiale.

Non è difficile intuire come l'egualitarismo, frutto delle politiche di ascolto da parte delle democrazie delle istanze provenienti dal basso,abbia prodotto una vera
e propia controffensiva capitalistica i cui imperativi,come è noto, sono dettati dal profitto.

La nostra epoca, le nostre esperienze collettive ed individuali, stanno così sperimentando gli effetti di una strategia volta a ricondurre l'esperienza umana
al prevalere dei concetti generali di un certo tipo di società,in determinate realtà da storicizzare ed in maniera disgiunta dalle utopie valoriali.
Una specie di razionalizzazione(per citare Weber) dei processi della vita sociale nei quali ciò che prima erano considerati "mezzi" si trasformano in "fini" quasi assoluti ed elementi concettuali cui si debba commisurare la realtà.

In sintesi il profitto che si trasforma in capitale e che a sua volta diventa un obiettivo ultimo,fine a se stesso ed alimentato da proprie leggi che,alla fine, si rivoltano contro l'uomo e la sua stessa essenza valoriale.
Un paradigma che si presenta come nuovo in un orizzonte non più circoscritto alla dimensione nazionale ma espanso in una realtà globalizzata che pone dei problemi nuovi da affrontare.

Dopo le tante ed importanti del passato, prende forza una nuova narrazione che canta e,con il suo canto sul tema della affermazione individuale, pervade l'immaginario collettivo e conduce ad una uniformità culturale nell'aspetto
antropologico, filosofico ed infine economico.
Tutto ciò sembra ridelineare il significato ed il destino di intere collettività in una sorta di volontà di potenza nella quale Nietzsche ipotizzò la loro trama ultima:
"la volontà di potenza deve assumere la forma della accumulazione illimitata, e la società tutta deve essere accesa di uno zelo irresistibile per la produzione e trovare godimento soltanto nel suo progresso illimitato".


Se da un lato però si può avere la consapevolezza che non può esistere una eguaglianza effettiva tra gli uomini, semplicemente perché essi sono naturalmente diseguali, specie dal punto di vista delle capacità economiche( e ciò induce al concetto competitivo),dall'altro, si può concepire una giusta concorrenza,che dia spazio al libero e mutuo mercato e che salvaguardi il più possibile il principio solidaristico che è essenziale per una società più giusta ed equilibrata.
Si ripropone così quel collegamento naturale tra "Individuo" e "Società" nel momento in cui è "l'individuo" ad irrompere sia ai piani alti della società,ove si definisce come conflitto tra le "elites", che dal basso demolendo progressivamente tutti gli spazi di intermediazione con la società in quanto tale.
Mi torna alla mente quanto a suo tempo ebbe a dire,ed in maniera alquanto sprezzante la "Thatcher"e cioè che "la società non esiste, esistono soltanto gli individui".
Protagonisti,in solitudine Hopperiana,di successi o sconfitte individuali.



Una realtà nella quale la "Politica" è ridotta a garantire,e senza troppo disturbare,la libera circolazione di persone e delle merci e quando la voce della protesta si alza in maniera forte per l'inascolto, "l'ordine pubblico".
Una Politica nella quale non trovano pìù accoglienza le contraddizioni sociali da sottoporre , comporre e risolvere,ma il lavorio per gli interessi privati che le ruotano attorno o le stanno all'interno.
Che dire,per ultimo,della realtà socio economica che si è determinata a seguito della crisi attuale?Una realtà che vede applicarsi una concezione di democrazia"competitiva" così strettamente e funzionalmente legata al mercato economico ma che,al contempo, agisce orfana di quel processo "poliarchico" nel quale i leaders debbono essere sensibili (responsive)nei confronti dell'elettorato; ma essi non lo sono poichè il loro agire non proviene da una competizione elettorale che dà loro sostegno.
Un percorso, quello della nostra democrazia,con esiti imprevisti come quello attuale ed imprevedibili nel futuro ma con una unica sensazione di certezza: che l'attuale debolezza della politica ed il suo discredito equivalgono a nessun argine all'agire predatorio della finanza e del mercato ed alla loro indecente irresponsabilità nei confronti delle società e delle persone.