Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

giovedì 9 febbraio 2012

L'ANTROPOLOGIA DI UN POPOLO.

Un popolo dall'identità incompiuta ? Protagonista di un irrisolto conflitto tra individualità e socialità e disinteressato a qualsiasi collante in grado di realizzare una unità, sia pur nella complessità, fatta di complementarietà ed antagonismo dei due aspetti,ma che certifica,alla fine,la vitalità e l'identità di un popolo e lo fa sentire Nazione.

E dire che,così come la nostra identità di individui è "narrativa",altrettanto lo è quella come popolo.
Forse la nostra è una troppo grande narrazione che,nel suo divenire,ha visto nascere e tramontare grandi imperi e piccole signorie; assurgere ad epicentro del mondo conosciuto ed al suo sgretolarsi, terra di conquista e campo di battaglia sul quale le brame di dominio di potenze nascenti ed in espansione si sono scontrate per secoli.
Da conquistatori divenuti conquistati.Ancora una volta crocevia di modelli sociali, culturali,credenze religiose e miti che, tutti, hanno lasciato la loro traccia e fertilizzato la nostra essenza individuale ma cancellato una memoria collettiva propedeutica al conservare consapevolmente ed accrescere un idem sentire.
Quella essenza individuale resa anche infertile nel terreno della consapevolezza politica e civile,a causa delle esperienze di asservimento a Principi e Feudatari
ed al loro dispotismo che,paradossalmente,sembrano ancora essere percepibili per certi apetti, nel tessuto socio-politico dei nostri tempi.

L'esperienza dataci dalla moderna storia nazionale e per prima quella relativa al tentativo di una "costruzione unitaria" , con il senno di oggi,le potremmo definire "le buone intenzioni che danno un frutto destinato a marcire".
Perchè una definizione così dura e pessimistica ? Forse perchè la storia (quella che per citare Jurgen Habermas)  affidata a chi "parla in prima persona" ha avuto un obiettivo essenzialmente pedagogico, volto a generare e conservare il consenso attorno ad alcuni valori considerati essenziali per la convivenza civile.
Una riflessione, questa, che mette in conto a quel "processo" la definizione come tentativo di costruzione, non ispirata dal basso (cioè dalle popolazioni) ma come prospettiva elitaria, elaborata da intellettuali, da menti aperte ad una visione di futuro più moderno e in libertà; ma anche da fini e pragmatiche menti politiche che non avevano nulla a che vedere con l'idealismo che sognava una fratellanza tra popolazioni con eguali radici di civiltà e sentimento religioso.

Un processo portato avanti, con un certo successo da una retorica autoritaria nel ventennio fascista (Dio,Patria e Famiglia) e che,qualche tempo prima aveva avuto un suo battesimo di sangue con la inedita guerra di massa (1915-1918)con quasi sei milioni di mobilitati da tutte le contrade del Regno ed un contributo di 700.000 morti da parte delle famiglie italiane, dal nord al sud.

Più di sessant'anni di storia repubblicana,fatta di trasformazioni tumultuose e spesso radicali, il cui significato mette in luce momenti di innovazione e momenti di crisi e che oggi sembrano investire l'identità stessa del paese e danno centralità alle trasformazioni economiche e sociali ed agli elementi di degenerazione che si sono sviluppati nel sistema partitico e non solo. Queste ultime,occorre dirlo, hanno inciso profondamente nel tessuto civile e culturale del popolo italiano,specie negli ultimi decenni.

Perchè non parlare anche del decadimento del tessuto culturale posto che nel passato post unitario proprio gli intellettuali,"maestri del pensiero"furono
chiamati ad edificare una coscienza e anche strutture intellettuali nazionali cosa che nei secoli precedenti non avevano avuto modo di formarsi. In Italia esisteva un problema che altrove neanche si poneva o si poneva in forma molto più attenuata: quello di creare una cultura che, conformemente a quanto si veniva facendo nel campo delle strutture (scuola, alfabetizzazione ecc.), favorisse la crescita di un comune sentire nazionale.



Dove è finito questo mondo di "maestri",oggi in gran parte silenzioso sui veri mali di questo Paese?Una assenza della cultura che ha consentito un vero e proprio obnubilamento delle coscienze individuali e lasciato che si realizzasse una vera e propria emigrazione della coscienza soggettiva verso automatismi e supporti materiali che fissano il centro degli interessi negli aspetti marginali dell'esistenza: l'eccentricità; i doni risultanti da una attività in cui immergere le aspettative perdendo di vista l'aspetto essenziale della dimensione individuale prima e di quella sociale poi.
Tutto ciò ha visto emergere figure di "capi", meneurs de foules, spacciatori di menzogne e illusioni. Un opera di vero e proprio disassemblaggio di modelli di convivenza e l'innesto di sub-culture volte alla riscoperta e rivalorizzazione di un "humus" delle tradizioni, dei linguaggi dialettali con pretese di "Lingua",e



quant'altro, volti forse a coprire un miscuglio esplosivo di egoismi di gruppi particolari e di risentimenti verso centri di indirizzo lontani dal "locale".
Rimane chiaro alla fine che questa antropologia è tale perchè orfana di quei "ponti di senso" che da tempo la Cultura e la Politica hanno rinunciato a mantenere tra il "locale" ed un sistema coordinato come quello "statuale".

Riporto un j'accuse" di Anna Madia che condivido pienamente :
"A chi dovremmo chiedere di pagare, oggi, il prezzo di averci dato un Italia più chiusa, più paurosa, più egoista, un’Italia che guarda indietro e non avanti. Dovremmo chiedere di rispondere per averci dato un Paese che sfrutta l’immigrato ma gli sputa addosso, e di rispondere per essersi pasciuti di una Italia unita ma aver sedotto il popolo con ricette separatiste. A chi dovremmo chiedere di rispondere per aver tenuto in piedi quella stessa politica improduttiva e sprecona che diceva di voler combattere.
E dovremmo, con ancor più forza, chiedere di pagare per aver fatto, in Italia, di tutta l’erba un fascio, per averci insegnato che siamo uomini che nascono e che muoiono in categorie già definite, da criticare o da osannare a seconda del chilometro quadrato su cui i loro avi hanno piantato le tende.
A chi dovremo chiedere, oltre che a noi stessi, di pagare per aver fatto del Nord quel che il Nord non era, per aver contribuito ad imbarbarirci giorno dopo giorno, contribuito a farci perdere la fierezza di dire da dove veniamo. Quasi che la nostra terra, con le linee continue della sua pianura e le curve dei sentieri delle sue montagne, non fosse più quella che ci ha partoriti, ma la proprietà di un conquistatore che non ci lascia più modo di riconoscerla".
"

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