Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

lunedì 5 novembre 2012

DUE LEADERSHIP - DUE VISIONI



Quella a cui assistiamo è la narrazione di una crisi economica e sociale e la necessità, indotta dalla competizione elettorale, di accendere i riflettori sulle sue cause vere e profonde.
Si assiste ad una narrazione ma anche ad una altra narrazione che tenta di nascondere la verità sulle scelte precedenti l'attuale governance ed il legame di quelle scelte con le disastrose conseguenze che hanno interessato la "finanza", "l'economia reale" ed alla fine il "tessuto sociale".


Chi ne ha pagato e ne paga le conseguenze è proprio quest'ultimo, nella parte rappresentata da quella che viene definita la "classe media" americana che ha visto, specialmente nell'ultimo decennio ,calare in maniera impressionante il suo livello di benessere e sprofondare nella soglia di una nuova povertà.
Nella restante parte della composizione sociale coloro che erano i poveri sono diventati ancora più poveri ed i cosiddetti ricchi sempre più ricchi.


Queste sono state le conseguenze di una deriva oligarchica che ha dato origine alle politiche neoliberiste da Reagan  ai Bush con il "laissez fair" in un mercato senza regole e la pretesa di correggere il peso del debito pubblico americano con meno tasse ai ricchi e pesanti tagli al Welfare State.Quella, a ben vedere, fu una pretesa ipocrita!

L’America è certamente il prodotto di due società, quella dei ricchi e quella dei poveri, ma le proporzioni non sono quelle attese. Oggi l’America sembra più un’isola solitaria di ricchezza materiale in un oceano di povertà. L’1% della popolazione accumula il 20% (era l’8% al tempo di Kennedy) del reddito prodotto annualmente. Gli altri dati sono noti: disoccupazione al 10%, poche probabilità di trovare un impiego allo stesso stipendio di quello perso; cinquantenni in esilio permanente dal mondo del lavoro, ventenni con poche alternative.

  La rivoluzione reaganiana, il neoconservatorismo, le forze del mercato, le liberalizzazioni, l’attacco al ruolo del governo federale, sono stati alcuni degli eventi che hanno mosso il paese nella direzione di una crescente disuguaglianza economica. Una combinazione di fattori esogeni (in primis la globalizzazione e l’innovazione tecnologica) ed endogeni (la politica) ha contribuito a creare una situazione che la recessione ha reso intollerabile. L’individualismo e il darwinismo sociale hanno sostituito la solidarietà come principi regolativi della distribuzione della ricchezza.





Oggi il discorso non è più sulla distribuzione degli "onori" ma degli "oneri". Le rendite di posizione di chi
si trincera dietro ai benefici di cui ha goduto nell’ultimo mezzo secolo sono inevitabilmente diventate il bersaglio della critica di ampi strati dell’opinione pubblica americana. Ma rimane inalterata e altrettanto decisiva una questione: la fonte della disuguaglianza sta nelle istituzioni, nel contratto sociale, e quindi in ultima analisi nella politica? Oppure nella fabbrica sociale del paese, nella sua cultura, nei suoi valori? La presente situazione pone una  domanda : com’è possibile che in America il costo e il disagio siano misurabili soltanto in termine di ricchezza o povertà materiale? È possibile che in America si sviluppi un’idea della ricchezza, grazie alla quale i disagi della crisi non siano valutati soltanto in termini di flussi economici a favore di una classe sociale o l’altra, ma piuttosto di partecipazione solidale e condivisa dei costi della crisi da parte dell’intera comunità?



Non appare chiaro se  e come il Paese potrà arrivare ad una equa ripartizione degli oneri ma sicuramente chiaro che tutto ciò dipenderà dal tipo di rappresentanza politica rispetto ai disagiati  o a una nuova prospettiva etica. Così come non è ancora chiaro se si potrà arrivare ad una revisione del contratto sociale nel modo in cui si è andato articolando nello scorso mezzo secolo, oppure della cultura che si è contestualmente sviluppata. Sembrano domande teoriche, ma evidentemente non lo sono. Rimane da capire  se prevarrà la proposta di  un’estensione dell’individualismo egoista oppure quella del ritorno al solidarismo sociale.



Solo una diversa visione ha tentato di porvi  rimedio  e le scelte della attuale politica presidenziale  con delle leggi di indirizzo economico sono andate in una direzione che in pratica ha avuto dei risultati positivi ,se si pensa al salvataggio della industria automobilistica americana e delle centinaia di migliaia di posti di lavoro ad essa legati . Non è  poco!!

Qualcuno forse dimentica che le elezioni  "mid term" hanno consegnato la maggioranza alla Camera proprio ai Repubblicani rendendo facili le loro azioni ostruzionistiche, ad esempio verso" l'American Job Act" che, con i miliardi di dollari da destinare ad investimenti ed a sgravi fiscali, avrebbe consentito una maggiore ripresa della economia americana.


Il"New deal"  Obamiano  ha avuto  una direttrice chiara nel Recovery Act del 2009 ma è stato impantanato.


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