Politica e Valori



La repubblica,nell'antichità, aveva due grandi collanti: la religiosità, fonte di tutte le certezze, attraverso soprattutto quegli augures che erano i buoni auspici degli Dei nei confronti delle scelte della polis, e i valori – ciò a cui dovevano aspirare le persone dabbene (probri): rem (le sostanze), fides (il credito), honos (gli onori legati al ruolo specialmente politico), gratia (il favore, la “gloria”). Tutto questo assicurava "la dignitas": una tensione verso l’alto coinvolgente, attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca, per la formazione di un’unica comunità che tendeva verso l’alto grazie al ruolo dell’esempio virtuoso.( da: Il Politico.it)

sabato 3 marzo 2012

DEMOCRAZIA ED INDIVIDUALISMO

E' parte del nostro bagaglio di cultura storica che fu merito della
socialdemocrazia tedesca a premere a che il conservatorismo bismarchiano impegnasse lo Stato,il capitalismo imprenditoriale e le forze del lavoro alla prima esperienza di "solidarismo".
Quello fu l'abbozzo,o meglio, la prima pietra di uno Stato sociale e l'attuazione delle sue prime politiche realizzate in seguito, attraverso diversi sistemi di governo nel mondo occidentale(da quello marxista-leninista a quello del periodo fascista per giungere al modello inglese).


Le ricadute di quelle politiche sicuramente furono la spinta per una maggiore propensione ai consumi ed,in egual misura, alla spesa privata e pubblica.
Da lì credo sia stato dato l'avvio alla creazione del debito pubblico,alla sua crescita, fino a perderne il controllo negli anni settanta del secolo scorso.
Molti ritengono che sia stato quello il momento in cui ha preso l'avvio la crisi del compromesso tra capitalismo e democrazia affermatosi in Europa dopo il secondo conflitto mondiale.

Non è difficile intuire come l'egualitarismo, frutto delle politiche di ascolto da parte delle democrazie delle istanze provenienti dal basso,abbia prodotto una vera
e propia controffensiva capitalistica i cui imperativi,come è noto, sono dettati dal profitto.

La nostra epoca, le nostre esperienze collettive ed individuali, stanno così sperimentando gli effetti di una strategia volta a ricondurre l'esperienza umana
al prevalere dei concetti generali di un certo tipo di società,in determinate realtà da storicizzare ed in maniera disgiunta dalle utopie valoriali.
Una specie di razionalizzazione(per citare Weber) dei processi della vita sociale nei quali ciò che prima erano considerati "mezzi" si trasformano in "fini" quasi assoluti ed elementi concettuali cui si debba commisurare la realtà.

In sintesi il profitto che si trasforma in capitale e che a sua volta diventa un obiettivo ultimo,fine a se stesso ed alimentato da proprie leggi che,alla fine, si rivoltano contro l'uomo e la sua stessa essenza valoriale.
Un paradigma che si presenta come nuovo in un orizzonte non più circoscritto alla dimensione nazionale ma espanso in una realtà globalizzata che pone dei problemi nuovi da affrontare.

Dopo le tante ed importanti del passato, prende forza una nuova narrazione che canta e,con il suo canto sul tema della affermazione individuale, pervade l'immaginario collettivo e conduce ad una uniformità culturale nell'aspetto
antropologico, filosofico ed infine economico.
Tutto ciò sembra ridelineare il significato ed il destino di intere collettività in una sorta di volontà di potenza nella quale Nietzsche ipotizzò la loro trama ultima:
"la volontà di potenza deve assumere la forma della accumulazione illimitata, e la società tutta deve essere accesa di uno zelo irresistibile per la produzione e trovare godimento soltanto nel suo progresso illimitato".


Se da un lato però si può avere la consapevolezza che non può esistere una eguaglianza effettiva tra gli uomini, semplicemente perché essi sono naturalmente diseguali, specie dal punto di vista delle capacità economiche( e ciò induce al concetto competitivo),dall'altro, si può concepire una giusta concorrenza,che dia spazio al libero e mutuo mercato e che salvaguardi il più possibile il principio solidaristico che è essenziale per una società più giusta ed equilibrata.
Si ripropone così quel collegamento naturale tra "Individuo" e "Società" nel momento in cui è "l'individuo" ad irrompere sia ai piani alti della società,ove si definisce come conflitto tra le "elites", che dal basso demolendo progressivamente tutti gli spazi di intermediazione con la società in quanto tale.
Mi torna alla mente quanto a suo tempo ebbe a dire,ed in maniera alquanto sprezzante la "Thatcher"e cioè che "la società non esiste, esistono soltanto gli individui".
Protagonisti,in solitudine Hopperiana,di successi o sconfitte individuali.



Una realtà nella quale la "Politica" è ridotta a garantire,e senza troppo disturbare,la libera circolazione di persone e delle merci e quando la voce della protesta si alza in maniera forte per l'inascolto, "l'ordine pubblico".
Una Politica nella quale non trovano pìù accoglienza le contraddizioni sociali da sottoporre , comporre e risolvere,ma il lavorio per gli interessi privati che le ruotano attorno o le stanno all'interno.
Che dire,per ultimo,della realtà socio economica che si è determinata a seguito della crisi attuale?Una realtà che vede applicarsi una concezione di democrazia"competitiva" così strettamente e funzionalmente legata al mercato economico ma che,al contempo, agisce orfana di quel processo "poliarchico" nel quale i leaders debbono essere sensibili (responsive)nei confronti dell'elettorato; ma essi non lo sono poichè il loro agire non proviene da una competizione elettorale che dà loro sostegno.
Un percorso, quello della nostra democrazia,con esiti imprevisti come quello attuale ed imprevedibili nel futuro ma con una unica sensazione di certezza: che l'attuale debolezza della politica ed il suo discredito equivalgono a nessun argine all'agire predatorio della finanza e del mercato ed alla loro indecente irresponsabilità nei confronti delle società e delle persone.

1 commento:

  1. il fine ultimo

    L'uomo organizza tutto il suo agire in vista di un fine, e i fini particolari sono subordinati a un fine ultimo; in termini generali il fine ultimo, per l'uomo, come per ogni vivente, è l'attuazione della propria natura, l'autorealizzazione, il raggiungimento insomma della propria perfezione (entelecheia); tale attuazione, che è il nostro bene, porta con sé la felicità: tutti gli uomini necessariamente tendono alla felicità, quindi necessariamente tendono ad attuare la propria perfezione.
    Tuttavia se tutti gli uomini desiderano e non possono non desiderare la felicità, diverso è il modo con cui se la immaginano, per cui di fatto i diversi uomini hanno diversi fini ultimi (il denaro, il piacere, il successo, etc.), ma ciò non toglie che il vero fine ultimo, quello commisurato alla natura umana sia uno solo.
    Esso non può essere il piacere (comune agli animali), né la ricchezza (che è puro strumento-per), né il successo e la gloria, che sono esteriori all'uomo; esso è la realizzazione ciò che di più proprio abbiamo come uomini, e al contempo la più perfetta partecipazione possibile alla vita del Motore Immobile: la contemplazione della verità intelligibile.
    Di fatto solo pochi uomini possono raggiungere tale fine ultimo; tutti invece possono coltivare le virtù.(Aristotele)

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